Il look dei pirati, il rapimento di Platone e il trattamento riservato a prigionieri e malfattori

Quale aspetto avevano i pirati dell'antichità? Corrisponde il loro look al nostro immaginario collettivo? E che tipo di trattamento riservavano ai loro prigionieri o quale destino attendeva loro stessi una volta catturati? Sono domande lecite e particolarmente affascinanti per rispondere alle quali ci vengono in soccorso una serie di epigrafi (quindi documenti ufficiali, non opere letterarie) tra le quali scegliamo alcune utili a rispondere a queste domande. Partendo dalla seguente, databile fra il II e il I sec. a.C. costituita da una stele di marmo scuro, reperita presso Astipalea, delle dimensioni di 0,75 in altezza; 0,44 in larghezza; 0,36 in profondità. Nella parte superiore è sormontata da una cimasa mentre è abrasa nella parte inferiore, con lettere elegantemente incise.

     Ἔδοξεν τῆι βουλῆι καὶ τῶι δήμωι · Μοσχίων Μενέτου
        [ε]ἶπεν · προγραψαμένων εἰς τὴν βουλὴν τῶν στρα-
        [τ]ηγῶν ὑπὲρ τ[ιμῶν τῶι δήμωι τῶι Ἀστ]υπαλαιέων
4      [ὅ]τι Ἀστυπ[αλαιεῖς ἄνδρες γεγένηνται ἀγα]θοὶ καὶ φί-
        [λ]οι τοῦ [ἡμετέρου δήμου, ἀγων]ισ[άμενοι κάλ]λιστα τῶν
        [-------------------------------------------]τῶν πει-
        [ρ]ατ[ῶν ---------------------------------]Λ[.]ΙΣΙΑΙΣΑ[.]
8      [-----------------------------------------]τῶν πλοἰ-
        [μ]ων [-----------------------------------]Υ[.. κ]αὶ τοὺς
        μὲ[ν ----------------]Λ[----------------]Σ κ[α]ὶ ἀνοσ[ί-]
        ως [-------------------------------------------] ἔσεσθαι
12   τοὺς [--------------------------------------]Ἀστυπ[α-]
        λαιε[----------------------------]έχειν τῶν ἐκ τῆς [θα-]
        λάσ[σης ------------------------]θέτ[η]σεν αὐτῶι, ἐπ[ι-]
        π̟λευ[σάντων δὲ μετὰ ταῦτα τῶν π]ειρατῶν καὶ ἐπὶ τὴν ἡ-
16   [μ]ετ[έραν χώραν τὴν ἔφοδον π]ο[ιη]σαμένων ἐκ τῆσ Φυγ[ε]-
        λίδος [καὶ σώματα ἐκ τοῦ] ἱε[ρ]οῦ τῆς Ἀρτέμιδος τῆς Μ[ουνι]-
        χίας ἀ[παγαγόντων ἐλ]εύθερά τε καὶ δοῦλα, διαρπασάν[των]
       δὲ καὶ τὰ [σκευὴ (?) τῶν σ]ωμάτω[ν κα]ὶ τῶν ἐν τῶι χωρίωι [καὶ]
20   τοῖς περι[κειμέν]οις τόποις, [οἱ] Ἀστ]υπαλαιεῖς στο[ιχοῦν-]
        τες τοῖς [ὑπὸ τῶν Ἐφεσί]ων προπα[ρηγγελ]μένοις ἐπέπλ[ευσαν]
        ἐπ' αὐτοὺς καὶ παραβαλόμ[ενοι τῶ]ι βίωι οὔτε σ[ώματος]
        οὔτε [ψ]υχῆς ἐφείσαντο, δια̟[κινδυν]εύσαντε[ς δὲ πρὸς]
24   τοὺς πειρατὰς ἐκ τοῦ γεγ[ενημένο]υ ἀγῶνος [ἔτρεψαν τὸ]
        π̟ᾶν τῶν ἐναν[τί]ων κατὰ [... env. 6 l. ...]ΙΣΤΟΝΤΟΥ[--------]
        [τ]αγέντας τῶι [ἡμ]ετέρω[ι ... env. 6 l. ...]ΟΝΤΟ[-------------]
        [.]Α̟Σ̟Θ̟Λ̟Λ̟Ι̟Ο̟[.] μ̟ε̟τ̟ὰ τῶν πλο[ίων ..]ΤΑΝ[----------------- ἀ]-
28    [ν]αχθέντων εἰς τὴν πόλιν [τὴν τῶ]ν Ἀσ[τυπαλαιέων τοὺς]
        μὲν λῃστὰς καὶ κακούργο[υς ἐτιμ]ωρ[ήσαντο παραχρῆ]-
        [μ]α̟ ἀξίως τῆς {ἑ}αυτῶν μ[οχθηρίας, τοὺς δ' ἐκ τῆς]
        ἡμετέρας χώρας γεγον[ότας αἰχμαλώτους ἐλύσαντο (?)]
32    [γ]νόν[τ]ες ὄντας ἡμετέρ[ους πολίτας τῆι πάσηι ἐπι]-
        μ̟ελείαι ἀναλαβόντες [εἰς τὰς οἰκίας ὑπεδέξαντο]
        καὶ χορηγοῦντες πάντα ὅς[ων εἷς ἕκαστος ἐδεῖτο]
        πρός τε τὴν καθ' ἡμέραν [θεραπείαν καὶ τὴν τοῦ σώ]-
36    [μ]ατος εὐσχημοσύνην, ἐ[πεμελοῦντο περὶ αὐτῶν]
        [ὡ]ς περὶ τῶν ἰδίων π̟[ολιτ]ῶν, ὁ[μοίως δὲ καὶ τῆς τῶν]
        [ἡρ]πασμένων ἐλευθέρ[ων] πα[ίδων ἐπεμελοῦντο ἀγω]-
        [γ]ῆ̟ς τε καὶ παιδείας Ω[---------------------------]
40    κότας τῶν ἡμετέρων [------------------------- κα]-
        [θ]ηκόντων διὰ τὴν [------------------------------]
        [.]ΟΣ τε πρὸς αὐτοὺς Τ[----------------------------]
        [.]ΝΕΝΕΙ[...]Ο[--------------------------------------]
44    [------------------------------------------------].


«Parve opportuno al Consiglio e all’assemblea popolare. Moschione, figlio di Menetos ha proposto. Poiché gli strateghi hanno presentato al consiglio un decreto inerenti gli onori da conferire al popolo degli Astipalei per il fatto che gli Astipalei sono stati uomini onesti e amici del nostro popolo avendo rivaleggiato… dei pirati (l. 7)… navigazione (ll. 8-9)… sacrilegio (ll. 10-11)… dal mare… posero (ll. 13-14)… e, dopo questi accadimenti, i pirati avendo preso il largo, diressero un attacco contro il nostro territorio a partire dalla regione di Phigelis dove avevano rapito persone di condizione libera e schiavi dal tempio di Artemide Mounichia e portarono via i beni degli abitanti della piazzaforte e del circondario, gli Astipalei conformatisi alle informazioni trasmesse dagli Efesini, navigarono contro di loro e nel rischiare la vita, non si curarono di se stessi né nel corpo né nello spirito; al contrario, attaccarono i pirati e misero in fuga, sul finire del combattimento, la totalità dei nemici… al nostro (l. 26)… con imbarcazioni (l. 27)… furono condotti nella città degli Astipalei che punirono i pirati e i malfattori in proporzione alle loro scelleratezze e liberarono i prigionieri che provenivano dalla nostra regione; avendo compreso allora che quelli erano nostri concittadini, (gli Astipalei) li accolsero nelle loro case, li circondarono di tutta la loro sollecitudine provvedendo ai bisogni di ciascuno per quanto concerne la sussistenza e la buona salute e si occuparono di loro come se fossero (stati) loro con-cittadini; si presero ugualmente cura dell’educazione e dell’istruzione dei fanciulli di condizione libera».


Questo decreto testimonia di un violento attacco di pirati nei pressi di Efeso, presso il santuario di Artemide dove si era rifugiata la popolazione locale; attacco sventato solo grazie all’intervento degli Astipalei ai quali questo documento rende onore.
Datato su base paleografica tra la fine del II sec. a.C. e l’inizio del primo, l’epigrafe potrebbe avere come protagonisti delle malefatte qui denunciate i pirati cilici. Inutile soffermarsi in questo momento sulla pirateria cilicia, il cui fenomeno è da ascrivere a quel tipo di pirateria che Garlan definisce “sociale” in rapporto alla fiorente crescita del mercato degli schiavi [1]. Tuttavia quest’epigrafe presenta elementi utili a sottolineare alcuni aspetti essenziali per il fenomeno della pirateria in genere e in rapporto ad alcune sue interessanti ricadute.

Che si sia trattato di un rapimento è testimoniato dall’uso del verbo ἀπάγω alla linea 18. Dunque l’epigrafe ci informa che i pirati, dopo aver fatto scalo a Phygelis [2], una località poco a sud della città di Efeso, hanno portato un attacco contro il santuario di Artemide e, rapendo (ἄγειν) persone libere e schiavi (l. 18) e depredando i beni degli abitanti del luogo e del circondario, si reimbarcano di certo più ricchi di quando non erano sbarcati.
Tuttavia l’epilogo della faccenda avrà triste esito per i pirati i quali saranno raggiunti via mare dagli Astipalei che, con sprezzo del pericolo, cattureranno tutti i malviventi responsabili del saccheggio (ll. 24-26) per punirli in un modo modo che un'espressione sembra precisare al di là di ogni dubbio: ἀξίως τῆς {ἑ}αυτῶν μ[οχθηρίας.

Liberati dunque i prigionieri, provvidero ad ogni necessità di questi (ll. 30-40), avendo appreso trattarsi di Efesini (l. 30). Credo di poter legare quest’ultimo passaggio a quanto si domanda Bielman circa i motivi che avrebbero spinto gli Astipalei ad intervenire nei confronti degli Efesini [3]. La studiosa, pur sottolineando che il decreto non fa alcuna menzione di un’eventuale alleanza o di un qualsiasi accordo fra le due città che – come credo, concordando con Bielman – potrebbe essere andato perduto insieme alle linee non tràdite, lega l’epigrafe ad un altro accordo, questa volta stipulato fra gli Astipalei e Roma, nel quale si sanciva che ciascun firmatario del decreto stesso avesse l’obbligo di opporsi al passaggio, sul proprio territorio, di nemici suoi propri e dei suoi alleati [4]. Bielman pertanto giunge alla conclusione che gli Astipalei «pouvaient donc être astreints par ce tra-ité à exercer une surveillance marittime contre les pirates [5]». Pur riconoscendo un innegabile legame fra l’azione dei benenficiari del decreto e il trattato del 105 a.C. con Roma, ritengo tuttavia che questo non spieghi completamente l’azione che si consuma, nella sua totalità, nell’iscrizione in esame.
Il trattato del 105 a.C. avrà pure sancito l’obbligo di intervento contro i pirati ma ciò non spiega la parti-colarissima attenzione degli Astipalei nei confronti dei bisogni dei prigionieri liberati, giustificabile forse – come si diceva sopra – in virtù di un ulteriore trattato di alleanza stipulato fra le due città e andato perduto nell’epigrafe; oppure dovuto a un fattore del tutto “umano” o umanitario e in questo caso, sì, filantropico che invece – a mio giudizio sorprendentemente – Bielman ritiene di poter leggere in questa circostanza come un semplice senso di ospitalità [6]. Ritengo, pertanto, che dietro l’atteggiamento degli Astipalei, abbiano concomitantemente agito tutti questi fattori; non ultimo il possibile trattato sottoscritto direttamente fra le due città la cui esistenza, a mio parere, potrebbe essere avvalorata dalle linee 32-33 da cui apprendiamo che i benefici nei confronti degli Efesini paiono scattare «non appena ebbero compreso che quelli erano nostri concittadini».
Passaggio questo che invita a domandarsi se l’atteggiamento dei benefattori sarebbe stato lo stesso se non si fosse trattato di Efesini.

Interessa notare ulteriormente che, dopo essere stati catturati, i pirati vengono sottoposti a punizioni proporzionate alle loro scelleratezze [7]. La fine a cui venivano sottoposti i pirati è di certo la condanna a morte, come testimoniano alcune fonti: a ciò viene sottoposto il pirata etrusco Postumio nel 339-338 a.C. [8] così come i pirati di Aristonico, tiranno di Metimna, nel 332 a.C. [9]
Tuttavia più eloquente, ai fini di questa osservazione, mi pare essere la testimonianza di Caritone che, parlando del pirata Terone riconosciuto da un pescatore siracusano, afferma che, prima di essere messo a morte per crocefissione, viene sottoposto a terribili torture alle quali quasi non regge [10]. In un'altra iscrizione della fine del III sec. a.C. (IG XII 7, 386 = Syll3, 521) in onore di due fratelli di Amorgo, si legge che l’atteggiamento dei due fu provvidenziale per evitare «che nessuno dei cittadini e delle cit-tadine fosse aggiunto al bottino né venduto né esposto al rischio di sofferenze e maltrattamenti» (ll. 21-26). Allora ritengo che fossero proprio le torture che ai pirati venivano inflitte prima di essere messi in croce ad essere proporzionate e, appunto, degne di quelle che loro stessi avevano inflitte ai loro prigionieri. Proviamo a capire come si arriva a questa conclusione.


Keel-hauling. Così descrive ORMEROD la pratica che qui svolgono pirati e prigionieri dei pirati. Si tratta della trasposizione in piano delle raffigurazioni presenti sulla lekythos dei pirati, qui sotto riportata.
Da H.A. ORMEROD, Piracy in the Ancient World. An Essay on Mediterranean History, Chicago 1967. Frontespizio.


A proposito di punizioni e maltrattamenti, la documentazione epigrafica, storica e letteraria ci consente di scendere più nel dettaglio partendo, per esempio, proprio dalle linee 27-30 di questa epigrafe. Si dice: μετά τῶν πλο[ίων .. ]ΤΑΝ[--------------- ἀ | ν] αχθέντων εἰς τὴν πόλιν [ τὴν τῶ ]ν Ἀσ[ τυπαλέιων τοὺς ] | μὲν λῃστὰς καὶ κακούργο[ υς ἐτιμ ]ωρ [ ήσαντο παραχρῆ | μ ]α ἀξίως τῆς {ἑ} αυτῶν μ[ οχθηρίας, τοὺς δ'ἐκ τῆς ] | ἡμετέρας χῶρας γεγον[ ότασ αἰχμαλώτους ἐλύσαντο (?) ] per cui i pirati furono puniti in base alle loro stesse scelleratezze. Un termine di paragone sebbene utile, per la verità alquanto vago che, a mio parere non va tanto posto in relazione alla semplice attività di rappresaglia propria dei pirati: negli anni in cui va datata la nostra iscrizione, si stipulavano ancora trattati tendenti a disciplinare una pratica (συλᾶν) i cui margini di legalità e illegalità erano affidati agli stessi paesi contraenti quegli accordi [11]Ora, infliggere una punizione in base a questi συμβολαί significava semplicemente far rispettare quelle clausole contenute negli stessi accordi fra gli stati [11A]Cosa che, oltre a non rientrare automaticamente fra le competenze di chi si trovava ad essere, più o meno estemporaneamente, un “bienfateur”, non avrebbe necessitato di simili specificazioni all’interno dei decreti onorifici. Posta pertanto la non naturale e necessaria congruenza fra μοχθηρίας e συλᾶν, ritengo che le scelleratezze dei pirati siano quelle che essi stessi esercitavano sui propri prigionieri e che ci sono trasmesse dalla letteratura.

La documentazione epigrafica ci dà certezza circa il destino dei prigionieri dei pirati. Oltre alla nota e usuale pratica della vendita dei prigionieri sul mercato degli schiavi, in un decreto della fine del III sec. a.C. (Syll3., 521) in onore di tali Egesippo e Antipappo, i due giovani benefattori fanno tutto quanto in loro potere affinché 

μήτε τῶι πολιτίδω (ν)   
μήτε τῶν πολιτῶν μηθεὶς ἀχθεῖ ἐπ[ ὶ
τ ]ὸ λάφυρον μηδὲ πραθεῖ μηδὲ ἐν ἀ
νάκαις καὶ κακοπαθίαις γένηται
μηδὲ διαφωνήσει σῶμα μηθὲν πο
λιτικόν, ἀλλὰ διὰ τούτους σέσωιστα[ι]
τὰ αἰχμάλωτα σώματα εἰς τὴν
[ἰ]δὶαν ἀπαθῆ

«affinché nessuno delle cittadine e dei cittadini fosse aggiunto al bottino né venduto, né esposto al rischio di sofferenze e maltrattamenti né che alcun cittadino mancasse all’appello. Così, grazie ad essi, i prigionieri sono stati salvati e sono tornati sani e salvi nella loro patria».

Con quali maltrattamenti i pirati infierissero sui loro prigionieri è possibile specificare attraverso la testimonianza di Aristotele il quale dà notizia di cosa fosse il cosiddetto Supplicium Tyrrenum praticato, oltre che dagli omonimi pirati – tirreni, appunto - anche dagli Etruschi: ὥσπερ γὰρ τοὺς ἐν τῇ Τυρρενίᾳ φασί βασανίζειν πολλάκις τοὺς ἁλισκομένους προσδεσμεύοντας κατ' ἀντικρὺ τοῖς ζῶσι νεκρούς αντιπροσώπους ἕκαστον πρὸς ἕκαστον μέρος προσαρμόττοντας; «Così dicono che i tirreni torturano ripetutamente i loro prigionieri legando i morti faccia a faccia contro i vivi, congingendo l’uno di fronte all’altro ogni loro membro»[11B] e Virgilio, parlando dello stesso argomento, aggiunge che «complexu in misero longa sic morte necabat» (in questo miserabile accoppiamento morivano lentamente) [11C].

Accanto a queste torture si aggiungono quelle, meno specifiche in riferimento a particolari etnie e quindi credo di uso più diffuso, di cui ci dà testimonianza Achille Tazio [11D]«fa’ portare gli strumenti di tortura: porti la ruota, ecco le mani le stenda. Porti anche le fruste, ecco il dorso lo percuota. Porti il fuoco, ecco il corpo lo bruci. Porti anche il ferro, ecco il collo lo sgozzi». E Leucippe, una dei personaggi del romanzo, contro Sostene che aveva consigliato la tortura, afferma che εἰ δὲ ὑμεῖς τοιαῦτα ποιεῖτε, ἀληθινὸν τοῦτο πειρατέριον: «se voi compite cose simili, questa è la vera banda dei pirati» [11E].

In effetti la denuncia di Leucippe, se da un lato lascia intendere che questo tipo di tortura veniva praticato anche dai pirati quindi, com’è evidente, non solo da quelli, dall’altro rimanda a quanto ci trasmettono Iperide e Caritone a proposito di torture inflitte ai danni dei malfattori.
Il primo, Iperide, parla di λῃσταὶ οἱ ἐπὶ τοῦ τροχοῦ κλαίοντες [11F]il secondo, invece, delle disavventure di Terone che così viene trattato dall’assemblea che lo riconosce pirata: βασανιστὰς εὐθὺς εκάλουν καὶ μάστιγες προσεφέροντο τῷ δυσσεβεῖ, καιόμενος καὶ τεμνόμενος ἀντεῖχεν ἐπὶ πλέον: «subito furono chiamati gli aguzzini e colpi di frusta furono sferrati sull’empio; sebbene avesse il corpo bruciato e la pelle lacerata, resistette a lungo» [11G].

Faccio notare che queste due ultime testimonianze letterarie rivelano, in rapporto al romanzo di Achille Tazio, una serie di elementi quali l’uso del τρόχον, della frusta e del fuoco, che appaiono essere comuni alle punizioni sia ai danni dei prigionieri dei pirati che ai danni degli stessi πειραταί.
A questo proposito, credo possa istituirsi un ulteriore, anche se più audace, raffronto fra l’uso del ferro (σίδηρον) che sgozza il collo di cui ci dice Achille Tazio e quel collare che si stringe al collo dei crocifissi secondo il cosiddetto metodo dell’ apotympanizomenos a cui venivano esposti anche i pirati [11H]È in funzione di questa comunanza che ritengo vada istituita una relazione fra le punizioni inflitte ai prigionieri dei pirati e quelle che ad essi stessi venivano inferte come “proporzionate alle loro scelleratezze”, vale a dire quelle precedentemente compiute ai danni delle loro stesse vittime.
Dunque, a mio parere, la mancata congruenza fra μοχθηρίας e συλᾶν di cui sopra, è in realtà da deviarsi su un’altra “proporzione”: una sorta di “occhio per occhio” che aveva il suo culmine nella morte per crocifissione inflitta ai pirati.

Lekythos cosiddetta dei pirati a figure nere
Si sviluppa lungo la pancia del vaso una rapprersentazione con particolari di maltrattamenti e torture. Non si può dire se i pirati, in questo caso, siano vittime o carnefici

Va ancora sottolineato che questo documento, al pari di quanto accade nella appena citata iscrizione per i due fratelli Egesippo e Antipappo, ha il merito di “avvicinarci” consistentemente alla situazione des-critta, quasi si trattasse di un racconto letterario e, quindi, anche alla figura del pirata e al modello che di questo ha la civiltà moderna. Sono certamente interessanti alcune considerazioni sulla sottile linea che separa la realtà dalla fantasia a proposito dei pirati.
Secondo il Casson, infatti, «il nostro stereotipato concetto di pirata risponde a un delinquente bruno e baffuto a capo di una ciurma di assassini, il quale assalta al volo una nave mercantile priva di difesa, raccoglie quanto c’è di valore, sceglie i prigionieri più indicati per il gruppo degli schiavi e al resto riserva la tradizionale passeggiata sulla tavola. Il mondo antico (…) conoscerà questo personaggio abbastanza bene (…), perfettamente rispondente (eccetto forse che per i mustacchi) anche al fenomeno delal camminata sulla tavola» [12].
Più esauriente rispetto a questa descrizione – a mio parere riferibile al solo legame che la pirateria può avere con l’ambito mercantile e non con quello militare – Ferone sottolinea come il look topico con cui siamo abituati a pensare al pirata, trova perfetta corrispondenza nelle fonti. Lo studioso, accostando le testimonianze di Senofonte Efesio (I 13, 3), Achille Tazio (II, 18, 4), Plauto (Miles Gloriosus, vv. 1178 ss.) e Longo Sofista (II 28, 1 e II 30, 3), delucida su alcuni elementi come la lunga chioma, la benda ad un occhio, la spada alla cintura e i gambali metallici che da sempre hanno caratterizzato il pirata nell’immaginario collettivo [13]. E – direi – unitariamente, nonostante la diversificazione del fenomeno della pirateria in base ai segmenti cronologici e agli ambiti d’azione [14].
Nell’iscrizione in esame, infatti, i pirati vengono menzionati con tre diversi termini: alle linee 6, 7, 15 e 24 compare πειρατής nei diversi casi; mentre alla linea 29 compaiono λῃστάς καὶ κακοῦργους quasi a voler sottolineare con forza essersi trattato di pirati. Per πειρατής e per λῃστής (insieme a κουρσάριος e καταποντιστής) sarebbe opportuno e necessario un approfondimento ad hoc[15]. Converrà qui soffermarsi sul κακοῦργος di l. 29 che denuncia evidentemente l’accezione prettamente negativa (κακοσ-) del termine “pirata” e pertanto sarà da attribuire «alla fase storica della civiltà greca in cui la λῃστεία è condannata come pratica illecita» [16]. Più precisamente, secondo Chantraine, è nella legislazione ateniese del V sec. a.C. che assume la precisa valenza di “malfattore” [17].
Non sempre, infatti, λῃστεία è stata sinonimo di “pirateria” nella moderna accezione del termine in senso squisitamente negativo: Aristotele legava al termine il significato di attività i cui utili non sono preventivabili [18]. Ma che la lesteìa più vicina al nostro significato non fosse stata una pratica sempre condannata, lo testimonia Platone il quale guarda ad essa come si guarderebbe alla caccia il cui oggetto, però, è l’uomo [19]. Ironia della sorte: proprio Platone sarà rapito dai pirati e venduto sul mercato di Egina. Fu poi liberato grazie ad un amico filosofo che lo riscattò risparmiandogli quel destino di torture e punizioni di cui si sta qui disquisendo. Sono diverse e ben documentate le fonti che attestano questo curioso episodio della vita di Platone [20]

Platone (Atene, 428/427 a.C. – Atene, 348/347 a.C.)


Altro luogo di quest’iscrizione degno di nota: alle linee 19-20 il decreto in questione denuncia il fatto che i pirati «avevano portato via i beni degli abitanti della piazzaforte e del circondario». La piazzaforte, in genere attestata come περιπόλιον [21], è da riferirsi alle numerose “torri” costiere che si trovano ubicate sulle isole del Mediterraneo.
Sebbene non si trovi menzionata in questa iscrizione ma integrata in maniera diversa alla linea 20, ritengo che la località di Phygelis sia da identificarsi proprio con uno di questi peripólia «dove solo un certo numero di persone può trovare rifugio» [22]. Gli abitanti che si saranno rifugiati nel tempio di Artemide saranno stati, pertanto, quelli stanziati nel circondario (ll. 19-20) al quale sarà legato il peripólion come torre di difesa.



[1] Cf. Y. Garlan, Signification cit., pp. 4-5 e supra, introduzione.

[2] Per un più ampio discorso sulle basi d’approdo e/o di smercio del bottino dei pirati, cf. Polibio IV, 8 e VI, 46; H. A. Ormerod, Piracy in the ancient world (1967), p.140 e iscrizione Syll3, 520.

Inoltre, che queste basi fossero segrete ritengo sia facilmente evincibile per almeno tre aspetti connessi a questo fenomeno: 1) per il generale tono di segretezza in cui avvengono i prepatarivi dell’attacco pirata (spie, informatori etc.); 2) quando uno stato decide di combattere il fenomeno della pirateria, non attacca direttamente un luogo dove presume possano essere stanziati i pirati ma intraprende campagne di promozione (per chi consegna allo stato in questione i pirati stessi: cf. S. Cataldi, Symbolai cit., n°6 = IG I, 25 e C. Ferone, Lesteia cit., p.38, nota 16) e di repressione (per chi non rispetta le clausole di divieto di accogliere i pirati: cf. Teiorum Diræ  e C. Ferone, Lesteia cit., p.84, note 98-100). Se avessero conosciuto questi luoghi è presumibile che avrebbero agito direttamente su questi, senza passaggi intermedi. Tanto più che uno stato che intraprenda campagne di questo tipo, doveva essere in diretta “concorrenza” coi i pirati stessi se questi premiavano la città che li ospitava con una parte del bottino (cf. C. Ferone, Lesteia cit., pp. 87-88, nota 120). Città che, per questo motivo, oltre che per paura di poter essere razziate esse stesse, erano ben motivate a collaborare coi pirati (cf. C. Ferone, Lesteia cit., p.92); 3) quando si intraprendono viaggi, gli stati scortano i carichi importanti perché evidentemente non sanno da quale parte possa provenire l’attacco dei pirati. Se avessero conosciuto le basi più direttamente interferenti con la rotta da intraprendere, più facile sarebbe stato agire direttamente su quelle prima del viaggio stesso.

[3] Cf. A. Bielman, Retour cit., p. 183.

[4] Cf. supra, nota 3.

[5] Gli Astipalei «potrebbero dunque essere stati costretti, in virtù di questo trattato, ad esercitare una sorveglianza marittima contro i pirati» nell’Egeo. Cf. supra, nota 3.

[6] In diverse delle epigrafi che ho analizzato, ho avuto modo di esprimermi a proposito del gratuito atteggiamento di benevolenza (nelle iscrizioni IG, II,141; IG, 112, 823; Syll3, 520; Syll.2, 921; e IG XII 2, 15) talvolta criticando ingiustificate spiegazioni improbabili se lette alla luce di questo sentimento collettivo (IG XII 7, 36 in onore di Timessa), altre volte sostenendo l’innegabile atteggiamento filantropico dei protagonisti (come in questo caso e nell’iscrizione Syll3, 521). Qui gli Astipalei, oltre ad accogliere i prigionieri nelle loro case e a provvedere ai loro bisogni elementari, arrivano persino ad occuparsi dell’istruzione dei fanciulli: il dovere di ospitalità potrebbe essere riferito, a mio parere, solo alla prima parte di questi benefici.

[7] Cf. anche SEG XXIV, 154.

[8] Cf. DIOD. SIC. XVI 82, 3 e C. Ferone, Lesteia cit., p.154.

[9] Cf. ARR.. An. III 2, 5 oltre a P. Ducrey, Prisonniers cit., p. 214.

[10] Cf. Caritone III 4, 12 e C. Ferone, Lesteia cit., p. 155.

[11] Cf. IG., XII 5, 857; DITT., Syll3, 443

[11A] Cf. per esempio, IG., XII 12, 717; IG., 12, 40. Inoltre, S. Cataldi, Symbolai cit., n.3, p.53 ss.

[11B] Aristotele, fr. 73, 46 (p.307 s.) Gigon, tràdito da Giamblico, Protreptic. 47, 22-48, 9. Inoltre, c. ferone, Lesteia, p.153 e p.161, n.120

[11C] Virg, Æn. VIII, vv. 487-488. Cf. inoltre, c. ferone, op. cit., p. 162, note 122-123.

[11D] Ach. Tat., VI 21, 1s.

[11E] Ach. Tat., VI 22, 2. Cf., inoltre, C. Ferone, op. cit., p.152

[11F] Pirati che piangono sulla ruota», Iperide, I fr. IX

[11G] Caritone, III 4, 12. Cf. inoltre C. Ferone, op. cit., p. 155 e p. 163 n.131

[11H] A proposito di questa particolare tecnica di tortura, cf. Eva Cantarella, I supplizi capitali in Grecia e a Roma, Milano 1991, p.41 ss.; C. Ferone, op. cit., pp.155-156

[12] Cf. L. Casson, The Ancient Mariners. Seafares and Seafighters of the Mediterranean in Ancient Times, Princeton 1991, p.45.

[13] Cf. C. Ferone, Lesteia cit., pp. 142-143.

[14] Cf, in proposito, Syll.2, 921.

[15] Cf. c. ferone, op. cit., p.29; suida, s.v. λῃσταί; p. mckechnie, Outsider in the Greek cities in the Fourth Century B.C., London 1989, p.105; inoltre vd. DEM. XXIII 166 e 167. Inoltre anche c. ferone, op. cit., p.57 dove lo studioso avverte anche sulla possibile forma latinizzata del termine, dato il suffisso –αριοσ (lat. –arius).

[16] Cf. C. Ferone, Lesteia cit., pp. 58-59.

[17] Cf. P. Chantraine, A propos de l’averbe ionien λειως, λεως, «Glotta» XXXIII (1954), p.32.

[18] Cf. Aristotele, Politica I 8, 7, 1256°.

[19] Cf. Platone, Leggi VII 823, b-e.

[20] Cf. Plutarco, Vita Dion. 5; Diogene Laert. III 19-20; Diodoro Sic. XV 7, 1. Inoltre cf. C. Ferone, Lesteia cit., p.144; A. Bielman, Retour cit., pp. 289-290; P. Ducrey, Prisonniers cit., p. 176, nota 3.

[21] Cf., per esemipo, Syll3, 567-570 a proposito del forte di Hala-sarna.

[22] Cf. H. A. Ormerod, Piracy cit., p.48 e supra, nota 21. 



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