Leggendo «E ti vengo a pensare» di GRAZIELLA DI BELLA

E ti vengo a pensare di Graziella Di Bella è un testo caldo e intenso nutrito da una sorta di "calma ribollente" che sembra alimentare la postura dell’io lirico e che, pur nel verso libero, destrutturato rispetto a particolari architetture metriche, mantiene un cadenzato andamento musicale, quasi una canzone da cantare. Nonostante la variabilità del metro, non si perde mai, grazie alla naturale accentazione delle parole sapientemente scelte, un ritmo ben cadenzato che ne favorisce uno spontaneo fluire nella lettura.

Graziella Di Bella

Pare alimentato da un profondo sentimento empatico che, come l'autrice tiene a specificare in calce alla poesia, affronta il delicato tema della donazione degli organi dal punto di vista di una madre. E bene fa la poetessa a chiarire questo che è tutt'altro che un dettaglio, per due ragioni specifiche: da un lato perché la presenza di un 'tu' e di un 'altro', grazie alla circolarità polisemica del componimento, può ben piegarsi e uniformarsi a percezioni e sentimenti diversi rispetto al punto di vista del lettore; al quale evidentemente – com'è giusto che sia per la Poesia – sono lasciati ampi margini per poter ridisegnare all'interno del testo un'esperienza singolare e personale anche a costo di esulare dal suo significato originario; dall'altro perché è pur sempre opportuno se non definire almeno accennare il perimetro tematico al di fuori del quale probabilmente la lirica troverebbe anche un suo senso ‘altro’ ma lascerebbe sul campo una serie di dettagli e preziosità dei quali vale invece la pena godere a pieno.

E ti vengo a pensare

È la notte che ti vengo a pensare
quando il silenzio prende a morsi il mio fiato
allora, baratto quel che resta di me,
con le infinitesime probabilità di incontrarti
per consegnare nelle tue mani i suoi gesti quotidiani,
al di là della fretta di arrivare in tempo,
oltre la pietà delle rose
ai piedi di un triste lampione.
Anima salda
che mi hai insegnato ad annegare nella scienza
e come cambia la prospettiva a questo mondo,
io che sto al respiro di niente
e il dolore mi resta irrisolto,
ti chiedo, domani, di venirmi a cercare,
voglio sentire come batte forte il suo cuore
se mi parla attraverso i tuoi occhi.
Io che vivo di sinestesie nella testa
e confondo il profumo del pane
con la fame delle sue intemperanze,
voglio appoggiare il capo sulla tua spalla
per sentirmi grata alla vita che torna
nella stanza vuota
della camera ardente dei sogni
spezzati, un mattino d’estate, al primo chiarore del cielo.
Adesso, mi è caro il suo Testamento d’amore
che aveva inquietato il mio giorno,
adesso, che aspetto che tu bussi alla porta,
di questa casa che non è più la stessa
senza la musica che stava alle sue mani
come il colore delle viole sta ai giardini fioriti.
Supererò la tempesta di Giove

Il Pi greco e le Idi di marzo
per dirti che è giusto, che va bene così,
sono pace di madre di un nuovo cammino,
stanotte ti torno a pensare.

(Sul delicato tema della donazione degli organi.
Tormento e desiderio di madre).

Di particolare fascino l'accostamento contrastante di modulazioni stilistiche ora quasi solenni («il silenzio prende a morsi il mio fiato» oppure «oltre la pietà delle rose» o ancora «io che sto al respiro di niente»), ora più a carattere di espressioni comuni, quasi più vicine a un atteggiamento discorsivo, parlato («fretta di arrivare in tempo» oppure «ai piedi di un triste lampione» o ancora l'intimo e risolutivo «ti chiedo, domani, di venirmi a cercare»). Un andirivieni continuo fra postura lirica dell'immaginato e dell'immaginario e osservazione scarna della realtà cruda che si riflette pure nel già citato accostamento continuo di "tuo" e "suo", possessivi evidentemente appartenenti a chi dalla realtà ne è stato sbalzato fuori e chi, invece, vi è rimasto aggrappato grazie a un'ultima possibilità che, come scrive la poetessa, è giusta e va bene così.

Evidenti sono alcune citazioni mutuate dalla cultura POP e dalla musica, se in questo perimetro volessimo costringere i testi di Franco Battiato che ben si prestano, invece, a più ampi orizzonti letterari. Già dal titolo/incipit E ti vengo a pensare che richiama direttamente il noto titolo della canzone E ti vengo a cercare; guarda caso richiamata dal già citato verso esplicito «ti chiedo, domani, di venirmi a cercare» corroborato da un successivo «adesso, che aspetto che tu bussi alla porta». Tutti elementi che, oltre alla citazione in quanto tale, compartecipano ad un'atmosfera di attesa che è ipso facto una ulteriore possibilità, quindi l'apertura di un nuovo spiraglio alla vita che assumerà toni, modi e forme imprevedibili e perciò stesso degni di essere vissuti. A questo si aggiunga quel «Supererò la tempesta di Giove / il Pi greco e le Idi di marzo» che richiamano così da vicino il «Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce...» e diventa perfino commovente se didascalicamente si usasse il prosieguo del verso di Battiato come chiave di lettura per questo passaggio della Di Bella. «Per non farti invecchiare», canta Battiato ed è questo il non detto che evoca il dolore taciuto rispetto a chi si sa non potrà o comunque non invecchierà mai!

È un uso intelligente della citazione che, al di là del gusto espressivo e dell’esplicitazione dello stesso, concorre anche alla costituzione didascalica del senso del verso e del suo approfondimento.


A questo si aggiungano felici espressioni che si mantengono all'interno di quel gioco di accostamenti audaci di cui si diceva sopra. Da un lato alcune immagini particolarmente riuscite e cariche di emotività evocativa quali, per esempio, «io che confondo il profumo del pane / con la fame delle sue intemperanze» o «camera ardente dei sogni / spezzati» accanto, dall'altro, perfino alla traduzione letteraria di una proporzione algebrica: «la musica che stava alle sue mani / come il colore delle viole sta ai giardini fioriti».

Ci pare, insomma, che il gioco degli accostamenti – anche contrastanti – riflettano l’inevitabile osservazione di due realtà diverse appartenenti a segmenti di vissuto ben distinti: un passato che è stato, con i suoi dettagli e le sue definizioni, quasi mai citato, silenziato nei contorni di un dolore che coraggiosamente si tenta di affrontare attraverso – e questo l’altro lato – la prospettiva del possibile, quasi inimmaginabile ma ricco di potenzialità positive tutte da scoprire e vivere... anche in questo caso un futuro più evocato che espresso. Nel mezzo una condizione sospesa di attesa, un istante temporalmente indefinito, dalle «infinitesime probabilità» di realizzazione, tutto proteso alla sapiente "calma ribollente" di chi continua coraggiosamente a scegliere da che parte schierarsi nella infinita battaglia fra la vita e la morte.


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