Timessa: la donna che sfidò i pirati

Siamo abituati a pensare che «Le donne nell'Antica Grecia, soprattutto le donne ateniesi (meno le spartane), erano poco più che delle recluse: abitavano in stanze destinate a loro (il gineceo), dalle quali potevano uscire solo in occasione di feste religiose e cerimonie pubbliche» (fonte: Focus del 18 marzo 2020 di Fabrizia Sacchetti).
Riporto di seguito un'epigrafe della fine III sec. a.C. particolarmente interessante considerando la figura della protagonista. Raramente e sorprendentemente sembrerebbe essere una donna, Timessa, a contrastare le scorribande di un gruppo di pirati; e a quanto pare con esito positivo.
Risulta tanto più curioso quanto meno approfondita è la conoscenza del mondo greco antico, abituati come siamo a filtrarlo attraverso i colossal degli anni '50 o i cartoni della Disney. Eppure non è affatto inusuale incontrare nella culla della civiltà, protagoniste donne nei diversi settori della vita sociale classica, ellenistica e oltre. Utili letture in questo senso risulteranno i testi di FRANCA FERRANDINI TROISI, La donna nella società ellenistica. Testimonianze epigrafiche, Edipuglia, Bari 2000 e ANNE BIELMAN, Femmes en public dans le monde hellénistique. IVème-Ier siècle avant J-C, Sedes, Lausanne 2002.

Mosaico proveniente dalla casa di Dioniso e Ulisse a Thugga (odierna Dougga, in Tunisia).
III secolo a.C. Museo Nazionale del Bardo, Tunisi​


Tornando al nostro particolare documento, si tratta di due frammenti distinti di una stessa stele calcarea grigia. La parte superiore della stele è costituita dal frammento A, corrispondente alle linee 1-12.
La parte inferiore è costituita dal frammento B, reperito sull’acropoli di Arkesine, corrispondente alle linee 11-27, di difficile lettura.
Di seguito il testo con traduzione.

      Ἔδοξεν τεῖ βουλεῖ καὶ τῶι δήμωι · Ἐπί-
       γονος Ἐπιγόνου εἶπεν · Νικίως Φιλοκρά-
       του ἐπεστάτει · ἐπειδὴ ἀναγγέλλου-
  4   σιν οἱ παραγινόμενοι τῶν πολιτῶν
       εὔνουν εἶναι Τίμεσσαν τῶν ἡμετέ-
       ρων πολιτίδων τεῖ πόλει τεῖ ἡμε-
       [τ]έραι καὶ ποεῖν ἀγαθὸν ὅτι ἂν δύ-
  8   [νητ]αι τοὺς ἐντυνχάνοντας αὐ-
       [τεῖ τῶν] πολιτῶν καὶ κατὰ κοινὸν
       [εὐεργετεῖν] τὴν πόλιν ἐφ' ὅσον ἐσ-
       [τ]ὶν δυ[νατή, ἐπιγενομέ]νου δὲ συνπτώ-
 12  [μ]ατος περì τὴν πό̟[λιν ἡμῶν τ]ὴν πᾶ-
       [σα]ν σπουδὴν ἐποήσα̟το εἰς τ[ὸ ἀνα]-
       [σ]ω̟θ̟ῆ̟ν̟α̟ι̟ τοὺς πολίτας πάντας [τοὺς]
       [ἀχθ]έ̟ν̟τ̟α̟ς̟ ἐ̟φ̟' ὅ̟σ̟ον ἐστὶν δυνατή·
 16  πε[ρὶ] δ̟ὴ̟ τούτων δεδόχθαι τ[ε]ῖ βου-
       λ̟εῖ κα̟ῖ τῶι δήμωι · ἐπαινέσαι Τ̟[ί]-
       μ̟ε̟σ̟σ̟α̟ν̟ καὶ στεφανῶσαι θα[λ]-
       λο[ῦ σ]τ̟ε̟φ̟ά̟ν̟ω̟ ἐ̟πί τῇ αἱρέσει εἷ [ἔ]-
 20  χει πρός τὸν δῆμον τὸν ἡμέτερ[ον]·
       [ε]ἶναι δ̟ὲ̟ αὐτεῖ καὶ προεδρίαν ἐν τ[εῖ]
       συνόδ̟ω̟ι̟ τῶν Ἰτωνίων καὶ ἐν τ[αῖς]
       [ἄ]λλαις συνόδοις π̟άσαις τ[αῖς πο]-
 24  [λ]ιτικα̟ῖ̟ς̟ · ἀνακηρύσσειν δὲ α[ὐτῆς]
       [τὸν] στέφανον ἐν τεῖ συν[όδωι τῶν]
       [Ἰτωνίων] ἅμα το̟ῖ̟ς ἄλλο[ις στεφάνοις ..]
       [---------------]MET[---------------]
       [-----------------------------------].



«È parso opportuno al Consiglio e all’assemblea popolare. Quando era epitstate Nikion, figlio di Philocratos, Epigono, figlio di Epigono propose: dal momento che i cittadini giunti riferiscono che Timessa, una delle nostre concittadine, si mostra devota verso la nostra città, che fa quanto di meglio può per il bene dei cittadini che si rivolgono a lei e che, a titolo pubblico, benefica la città per quanto è possibile; quando una disgrazia colpì la nostra città, lei mise tutto il suo zelo nel salvare, per quanto possibile, tutti i cittadini che erano stati rapiti. Perciò è parso opportuno al Consiglio e all’assemblea popolare lodare Timessa e incoronarla con una corona di ulivo per la scelta che adotta nei confronti del nostro popolo. Le sia accordata anche la proedria… nelle feste delle Itonie e in tutte le altre feste della città… Si proclami il suo incoronamento nelle feste delle Itonie insieme alle altre corone…».

A contrastare, quindi, i pirati non compaiano valenti uomini politici né facoltosi cittadini di una qualche ricca località costiera bensì una donna, Timessa, sulla cui identità la discussione resta tutta ancora aperta data la particolare impostazione che nell’iscrizione assume la presentazione del beneficiario del decreto. Alle linee 5 e 17, infatti, compare il nome di Timessa che però non presenta, come ci si aspetterebbe, alcuna indicazione “genealogica”: non è citato il nome del padre né di qualche avo né alcun demotico che ne possa permettere, al di là dell’indicazione di genere, una più precisa identificazione [1]. Oltretutto neppure il confronto con altri decreti può aiutare nell’identificazione di un personaggio il cui nome pare comparire una sola altra volta in un decreto proveniente dalla Sicilia [2] ad indicare, come sostiene Bielman, «probablement une nymphe» [3].
Questa osservazione le consente di fare un passo avanti e, in considerazione della possibilità che la stessa Timessa intrattenga un qualche legame diretto col mondo religioso, di domandarsi se non sia il caso di pensare a lei come a una sacerdotessa.

Pur non potendo escludere quest’ipotesi, non ritengo che la motivazione addotta dalla Bielman possa da sola giustificare la sua non improbabile lettura del personaggio in questione: «La maniere dont elle est nommée dans le decret» sebbene possa configurarsi come «un signe indeniable de la notoriété et de la considération dont jouissait cette femme auprès de ses concitoyens» [4] resta pur sempre una menzione generica senza specificazione che potrebbe far pensare a Timessa come a una sacerdotessa nella stessa misura in cui ella potrebbe ricoprire una qualsiasi altra carica pubblica (che pure è generalmente menzionata con maggior precisione); persino – ipotizzo per assurdo – una tirannide [5].
Ciò che invece è menzionato è quel ἐντυνχάνοντας (linea 8) che, riferito a cittadini che a lei si sarebbero rivolti senza specificare per quali ragioni, la rendono certamente un “personaggio pubblico”, una figura di spicco del koinòn, ma senza consentirci di specificare con certezza quale tipo di figura pubblica.

Diversamente Bielman interviene a proposito della mancanza, nell’iscrizione, di un demotico per Timessa. La quale, pur restando un personaggio “anagraficamente” sconosciuto, è collocabile all’in-terno dello stesso demo di Arkesine. Il Brulé infatti, di fronte all’apparente assenza di dati specifici in proposito, aveva concluso che nell’iscrizione nessun elemento potesse chiarire la natura del legame fra Timessa e gli abitanti della cittadina di Amorgo [6]. Purtuttavia non mi pare affatto che lo studioso escludesse categoricamente il fatto che Timessa potesse essere anche concittadina dei beneficiati.
Certamente al Brulé sfugge ciò che acutamente Bielman fa notare a proposito delle linee 5 e 6 e cioè Τίμεσσαν τῶν ἡμετέρων πολιτίδων, inciso in base al quale la studiosa trova una valida sostituzione del demotico mancante. Oppure più semplicemente al Brulé non interessava specificare un dato poco utile alla sua lettura che mi pare essere fondamentalmente di natura sociale più che anagrafica e, perciò, si domanda a quale titolo Timessa e non altri intervenga in questa azione contro i pirati. Domanda tanto più lecita trattandosi di una donna. Ritengo pertanto che la chiave di lettura adoperata dal Brulé da un lato non discuta la possibilità che Timessa possa pure essere cittadina di Arkesine e dall’altro lasci meglio intendere anche alcune successive deduzioni dello studioso francese, categoricamente improponibili per la Bielman [7]

Il fatto che Brulé guardi alla possibilità che Timessa, al pari di tali Eumaridas e Eurylochos [8], possa apparire fra quei «negociants ayant partie liee avec des pirates», se non essa stessa perfino «negotiant-pirate» [9], mi pare essere la risposta dello studioso alla domanda della funzione di Timessa e del rapporto di questa con la questione descritta nella nostra iscrizione; risposta che la Bielman ritiene «devoir être totalment écartée» [10] ritenendo invece che ciò che spinge Timessa ad agire sia il solito «lien puissant» (legame potente) che unisce i membri di una città greca: un radicato sentimento di solidarietà.
A mio modesto giudizio entrambe le risposte. sia quella del Brulé che quella di Bielman, non appaiono comprovabili e forse vanno un po’ troppo al di là dei confini interpretativi del decreto, anche se in due sensi opposti. Così, se giustamente la studiosa rigetta l’interpretazione del Brulé domandandosi perché mai per riscattare delle vittime di pirati, Timessa debba necessariamente aver avuto delle collusioni coi pirati stessi, a mia volta mi chiedo perché mai, di fronte a un vuoto di informazioni la risposta più plausibile debba essere ricercata nella gratuità di questo sentimento solidale [11].

Vero è che il più delle volte le azioni dei benefattori «trovano la loro motivazione e la loro speranza di successo nel vivo senso della comunità che caratterizzava a tutti i livelli i membri della pòlis e tra essi, in primo luogo «gli abbienti» per i quali «è sempre un impegno d’onore (…) partecipare» [12]. Tuttavia non mi pare essere questa una formula valida sempre e comunque di fronte ad una qualche carenza (di qualsiasi natura essa sia) epigrafica. Nel nostro caso, infatti, non ci sono elementi per stabilire con certezza che, per quanto riguarda Timessa, si sia di fronte ad un cittadino abbiente né che Timessa sia parte integrante della comunità in cui opera.
È proprio Bielman a lamentare la spiacevole mancanza di dati a proposito della posizione sociale e familiare della benefattrice «tant dans sa ville d’o-rigine que dans son nouveau lieu de residence» [13].  Così, interpretando le linee 7-9 come la specificazione del luogo di residenza di Timessa, diverso dalla città vera e propria, sposta abilmente lì il teatro delle azioni piratesche alla base del decreto in modo da giustificare maggiormente l’intervento di Timessa [14]. Ma, anche in questo caso, nulla nel decreto lascia intendere una lettura di questo tipo.

Se invece si volesse concordare con la possibile chiave religiosa che farebbe di Timessa una sacer-dotessa, mi domando se piuttosto che di pura filantropia non sia possibile parlare anche di un dovere morale (e forse anche sociale) di chi ricopriva quella non specifica carica, se non di un dovere d’ufficio visti i legami più o meno costanti fra pirateria da un lato e mito e religiosità dall’altro [15].
Affatto lontana da questa mia ipotesi risulta la posizione di Van Bremen che ritiene, piuttosto, il comportamento di Timessa poter essere ben definito filantropia proprio perché ella opererebbe al di fuori del contesto di un qualche ufficio [16] e arriva così a coniare persino una nuova figura di «new-style benefactress» [17]; necessità – come credo – dettata soprattutto dalla carenza di dati a disposizione per il personaggio in questione.


L'epigrafe di Timessa (fine III sec. a C.)


L’alone di vaghezza e incertezza che pervade quest’iscrizione e soprattutto l’innegabile fascino della figura della protagonista, è ulteriormente amplificato se si passa a considerare il metodo con cui Timessa avrebbe liberato gli Archesinesi rapiti. Che si tratti di un rapimento è deducibile con buon margine di certezza dal verbo ἄγω alla linea 15. Secondo Ducrey, infatti, l’uso del verbo ago e dei suoi composti rimanda sempre, nella tradizione epigrafica, a contesti militari ma soprattutto ad azioni di brigantaggio e di pirateria tanto più nel caso in cui, sostantivato, si accompagna al termine πολίτης come nel nostro caso [18].
Dunque, nel territorio in cui opera Timessa si è consumato un rapimento di cittadini, quasi certamente ad opera di pirati, nella cui dinamica in un modo o nell’altro Timessa rientra in qualità di benefattrice dal momento che, come sempre, si è comportata in modo zelante nei confronti degli Archesinesi facendo tutto quanto nelle proprie possibilità per il loro benessere (linee 6-15). Questo quanto si evince chiaramente dall’epigrafe.

Rispetto alla certezza del rapimento, poco chiaro risulta invece il modo in cui Timessa avrebbe operato in questo caso specifico per giovare ai rapiti. Alle linee 13-14 compare, nel nostro testo, un generico τ[ὸ ἀνα|σ]ωθῆναι. Questo luogo dell’epigrafe è integrabile, come sottolinea Delamarre [19], anche con [λυ|τρ]ωθῆναι.
Questa lettura, preferita da Bielman [20], offrirebbe la possibilità, attraverso l’uso del verbo λυτρόω, di pensare ad un’azione di riscatto dei prigionieri di natura finanziaria. Ipotesi che, per quanto vaga, ritengo certamente più probabile, nel caso di Timessa, rispetto ad un’azione di forza contro i pirati da parte della benefattrice. Il verbo λυτρόω, infatti, afferisce senza alcun dubbio ad un contesto finanziario visto il suo significato di «libérer (quelq’un) contre rançon» [21].
Nei decreti affini a questo, è più facile che il verbo compaia nella forma media, come nel caso dell’is-crizione in onore dei cinque ambasciatori IG. XII 5, 36 (Syll3, 520), il cui senso è quello di «riscattare qualcuno». Il verbo, tuttavia, può anche comparire nella forma passiva, come in questo caso, o in una forma composta come per esempio ἀπολυτρόω che, pur essendo poco attestato nella tradizione epigrafica, si distingue dalla forma semplice per il fatto che sovente regge «un complément précisant la valeur de la rançon» [22]. Col verbo λυτρόω infatti, il Delamarre integra le linee 13-14 in riferimento sia al [ἀχθ]έντας della linea 15 sia ad un decreto di Nasso (= Syll2, 244) in cui si legge Φειδίας Γνω[σί]ου ἐλυτρώσαν [το π]αρὰ τ[ῶν] Αἰτωλῶν [23].
Dunque Timessa avrà ottenuto, tramite il pagamento di un riscatto, la liberazione di un numero imprecisato di cittadini di Arkesine rapiti da qualche banda di pirati allora operante nel territorio.

È possibile, relazionando a questo decreto altri che afferiscono ad operazioni piratesche nell’isola di Amorgo, avanzare un’ipotesi sull’identità dei pirati che avrebbero operato in questa circostanza.
Delamarre mette in relazione a questo decreto in onore di Timessa, altri due nei quali compare, nel primo, un abitante di Cnosso beneficiario di un decreto frammentario [24] e nel secondo un elenco di versamenti di denaro legato all’espressione ἐκ Κρήτης [25].
In entrambi i casi appare innegabile l’esistenza di un qualche rapporto fra l’isola di Amorgo e quella di Creta a cui è possibile attribuire la nazionalità dei pirati che avrebbero operato in questa iscrizione. Bielman, infatti, seguendo questa pista tracciata dal Delamarre, deduce che «on pourrait even-tuellement imputer à des pirates crétois» la razzia subita dagli Archesinesi [26].
Tutti i tre decreti menzionati – questo compreso – provengono dalla città di Arkesine in cui si consuma l’evento che provoca l’intervento di Timessa; tutti i tre decreti presentano legami strettissimi per quanto concerne i nomi dei magistrati (primo fra tutti tale Νικίων figlio di Filocrate) in base a cui risalire all’età dell’epigrafe [27]; due di questi decreti, come già sottolineato, hanno a che fare con Creta e pertanto il Delamarre conclude che « il n’est pas impossible, d’ailleur, que le trois textes d’Arkésiné se rapportent au mème événement» [28].

Ipotesi, questa, particolarmente affascinante sebbene Bielman inviti giustamente alla prudenza trattandosi di decreti fortemente mutili e quindi di non certa lettura [29]. In rapporto dunque a quanto stabilito, la datazione di questa epigrafe appare meno problematica di altre.
Le caratteristiche paleografiche del testo non fanno che confermare la collocazione temporale del decre-to sul finire del III sec. a.C.; data a cui si arriva in base alla menzione, alle linee 2-3 dell’epistate Nikion di Philocratos il quale compare in un altro decreto in onore di Ἀγατίνος Αγατίνου [30], personaggio quest’ultimo del quale è ben nota la genealogia: si conosce un decreto in onore di suo nonno Cleophantos della metà del III sec. a.C. [31]  e un altro in cui il dedicatario è suo padre Agatinos di Cleophantos attraverso la cui evoluzione cronologica e i relativi sviluppi paleografici è possibile risalire all’età della nostra epigrafe [32].

Dunque, intorno alla fine del III sec. a.C., in seguito ad una sciagura abbattutasi sulla città di Arkesine (linee 11-12), Timessa fa quanto è nelle proprie possibilità per salvare i cittadini che erano stati rapiti (l. 15) e, in seguito a questo suo intervento, viene onorata con il decreto in esame (l. 17) oltre che con il conferimento di una corona d’ulivo (ll. 18-19) e della proedria (l. 21).

Ciò che appare strano, vale a dire “l’incursione” di Timessa all’interno di un ambito solo in apparenza prevalentemente maschile, trova in realtà conferma in una serie di iscrizioni in cui numerose compaiono donne che partecipano al soddisfacimento delle esigenze della comunità quando lo stato non riesce da sé nel compito. Come fa notare Van Bremen, «there are several examples of such public subscriptions in which women’s names features among the subscribers» [33]. Credo però che, come specificato sopra a proposito delle differenze di lettura fra Bielman e Brulé, anche in questo caso mettere in relazione la partecipazione di Timessa alla semplice operazione finanziaria non dà alcuna risposta circa il suo rapporto con la particolare natura di questa operazione. La quale è senza dubbio un riscatto e presuppone, pertanto, delle trattative e degli incontri diretti con i pirati colpevoli del rapimento. Trattative alle quali si è costretti, com’è ovvio, a legare Timessa senza poter ancora specificare, allo stato attuale delle nostre conoscenze, legami più diretti e funzioni più specifiche.



[1] Cf. A. BielmanRetoùr à la liberté. Liberation et sauvetage des prisonniers en Gréce ancienne (1994), n.26, p.147: «mentionne le seul nom de Timessa, sans la moindre référence à un membre masculin de la famille de la bienfatrice».

[2] Τίμασσα è il nome che si incontra in J. e L. Robert, Bulletin Epigraphique, 1967, 711.

[3] Cf. supra, nota 1.

[4] «La maniera in cui ella è menzionata nel decreto […], un segno indelebile della notorietà e della considerazione di cui godono queste donne presso i loro concittadini». Cf. supra, nota 1.

[5] La studiosa francese adopera lo stesso metodo anche a proposito di Kleomis nell'iscrizione Syll3, 263: si è fatto notare infatti che, a proposito del tiranno di Metimna, Bielman faceva corrispondere – a mio giudizio erroneamente – la semplicità della citazione del nome di Kleomis che appariva senza alcuna altra specificazione “politica” tranne patronimico e demotico, con la sobrietà della figura politica del tiranno. Anche in questo caso mi pare che la studiosa, partendo da quanto non menzionato, arrivi a proporre ipotesi seppure non improbabili, difficilmente comprovabili.

[6] Cf. P. BruléLa piraterie crétoise hellénistique, Paris 1978, p.58 e A. Bielman, op. cit., p.147, nota 13.

[7] È lo stesso studioso francese ad ammettere che pur «vivant à l’ètranger, elle avait sans doute quelques liens avec…» i cittadini di Arkesine e ciò che giustamente gli sfugge e si domanda è la natura di questo legame, non la posizione giuridica di Timessa all’interno del demo. Se infatti ammettessimo, com’è giusto in virtù delle deduzioni di Bielman a proposito delle ll. 5 e 6, che Timessa è cittadina di Arkesine a pieno titolo, resterebbe ancora senza risposta quello che mi pare essere il reale interrogativo del Brulé.

[8] Cf. le iscrizioni IG II2, 884 = Syll3, 535 e IG II, 193, decreti onorari di cui i due sopra citati sono beneficiari.

[9] «Commercianti da una parte legati ai pirati»: cf. P. Brulé, op. cit., p.161 e A. Bielman, op. cit., p.147, nota 14.

[10] «dover essere totalmente rigettata»: cf. A. Bielman, op. cit., p.147, nota 14.

[11] Cf. l’iscrizione IG XII 7, 386 (Syll3, 521) in onore di Egesippo e Antipappo.

[12] Cf. L. Moretti, Il problema del grano e del denaro, in AA.VV. «La società ellenistica. Economia, diritto e religione» vol. 8, pp. 366-368.

[13] «tanto in riferimento alla sua città d’origine che al suo nuovo luogo di residenza», cf. supra, nota 9.

[14] «Elle devait sans doute être domiciliée dans la ville où furent emmenés les Arkésiniens captifs» («senza dubbio ella dovette essere domiciliata nel luogo in cui furono condotti gli abitanti di Arkesine catturati»), cf. A. Bielman, op. cit., p.147. Oltretutto questa lettura a mio giudizio parrebbe più suffragare l’ipotesi del Brulé, di cui alla nota 9, che non quella della stessa Bielman.

[15] In una iscrizione di Teos (S. ŞAHIN, Piratenuberfall auf Teos. Volksbeschluß uber die Finanzierung der Espressungsgelder, “Epigraphica Anatolica” XXIII [1994], pp.1-40), buona parte dell’azione piratesca e della risposta della città di Teos si giocavano sul binomio Apollo-Dioniso e sui rispettivi concetti di δεκάτη-τόκοι δεκάτοι e di συλᾶν-ἀσυλία.

[16] «Timessa’s behaviour could well be called philantropic; she acted, moreover, outside the context of any office or liturgy»: cf. R. Van Bremen, The limits of participation, Amsterdam 1996, p.36.

[17] Cf. R. Van Bremen, op. cit., p.37.

[18] Cf. P. DucreyLe Traitement des prisonniers de guerre dans la Gréce Antique, Paris 1968, p. 39. Una serie di decreti in cui ἄγω compare nella forma descritta dal Ducrey è indicata dallo studioso alle note 4-7 di p.40 e 1-9 di p.41- Fra queste, oltre alla nostra iscrizione, è utile ricordare i decreti Syll3, 454 in onore di Heracleitos; IG XII, 7, 386 (= Syll3, 521) in onore di Egesippo e Antipappo (già citata); IG II2, 823 in onore di uno sconosciuto assalitore di pirati in cui si svolge una approfondita discussione in merito all’uso del verbo ἄγω.
Inoltre cf. anche i decreti IG XII 9, 328 (= Syll3, 921); IG XII 3, 171+1286; IG IV, 497 (= Syll., 594); IG IV, 750; IG II2, 550.

[19] Cf. J. Delamarre, RPh 27 (1903), pp.115 e 117 e IG XII 7, 36.

[20] Cf. A. Bielman, op. cit., p.146 e nota 4.

[21] «Liberare qualcuno in cambio di un riscatto»: cf. A. Bielman, op. cit., p.256.

[22] Ulteriori approfondimenti sull’uso e le attestazioni di λυτρόω e dei suoi composti, sono svolti da Bielman, op. cit., pp.265-267 con numerosi esempi di testimonianze sia epigrafiche che letterarie.

[23] Cf. J. DelamarreAmorgos et les pirates, in «Revue de Philologie, de Literature et d’Histoire Ancienne», XXVII (1903), pp. 116-117.

[24] Ath. Mitt., XI (1886), p.108 n.13. Inoltre, cf. supra, nota 23.

[25] Cf. supra, nota 21.

[26] Cf. A. Bielman, op. cit., p.146: «si potrebbe eventualmente imputare a dei pirati cretesi». Più precisamente, però, il Delamarre specificava che i tre decreti in questione sembrano piuttosto sottolineare l’importanza di Creta come il maggior mercato di schiavi, lì venduti giacché catturati da pirati non necessariamente solo cretesi; cf. J. Delamarre, op. cit., p.119.

[27] Il nome dell’epistate Νικίων Φιλοκράτου che compare alle linee 2-3 di questa iscrizione, figura anche, nella stessa carica, in un altro decreto in onore di tale Ἀγατίνος, figlio di padre omonimo (BCH, XV – 1891 – p.589 n.11), il quale a sua volta figura come pritane di Cnosso di cui si è detto (Ath. Mitt., XI – 1886 – p.108 n.13).

[28] «Non è affatto impossibile che i tre testi di Arkesine siano da riferirsi al medesimo avvenimento», J. Delamarre, op. cit., p.119.

[29] Cf. A. Bielman, op. cit., p.147

[30] Cf. supra, nota 27

[31] BCH, VIII (1981), p.450, n.17 (= Syll3, 612). Poi cf. infra, nota 32.

[32] Cf. J. Delamarre, op. cit., p.117.

[33] «Esistono numerosi esempi di pubbliche sottoscrizioni in cui fra i contribuenti compaiono nomi di donne»: cf. R. Van Bremen, op. cit., p.37. Fra queste iscrizioni ne sottolineo una di Smirne (I. Smirna, 679), datata successivamente al 124 a.C. in cui, dei 24 donatori intervenuti per lavori di restauro a due templi, ben venti sono donne. Di queste, tre contribuiscono con una somma pari a ben 10.000 dracme ciascuna. Cf. R. Van Bremen, op.cit., p.37 nota 96. .

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