Giudizi Critici a «Contraddizioni», Leucò 2001



«Vito Davoli (Contraddizioni) dà vita ad una poesia originale, in cui l'io è quasi straniato e ricomposto initerrottamente»

Daniele Giancane

Edito in D. GIANCANE, Autori nuovi e nuovissimi in Il Cigno e la Cicala, Levante Editori, Bari 2004, p.26

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Contraddizioni di Vito Davoli. Per più versi e misteri.

Il consumo delle “Contraddizioni” sembra il principio (o l’indizio) ispirativo di questo esordio poetico: Vito Davoli, Contraddizioni, pp.104, Edizioni Leucò, Molfetta (BA) 2001.
Il tempo, i modi, i luoghi, la festa, l’inverno, il fatto locale, la favola accesa da un ricordo, la sera, la terra, il giorno e innumerevoli altri propositi e proposte tematiche che sono alle origini e al centro della Cosa. 
Non che sia facile guarire dalle contraddizioni ma l’idra da cui intanto sono guidate, giunge sempre a una rettifica di esse, quando grondano di dissapori e quando cercano di moltiplicarsi nel continuum della vita comune. Vito Davoli prospetta primi e secondari conflitti, movimenti esistenziali, scorte di natura promiscua, essenze di bagliori civili e di notizie umane, contemporanee. Niente è arcano in questi effetti d’opera e niente si utilizza come propiziatorio alla morte delle contraddizioni! Si sogna di esse; l’autore promette di tornare quando non lo dice e quando sono mozioni impellenti dell’io e del non io; quando appartengono alla storia e quando la comunicazione di essa diventa poesia, sia in senso automatico e libero, sia quando la testualità oscilla fra il poemetto incompiuto e il madido e disteso scrivere versi per essere nel dire, per cogliere il meglio di quanto ha letto e compreso dei classici antichi e ormai d’oggi. «Così mi nutro tagliuzzando / fra i segreti dei tuoi occhi un amore sanguigno: / ne bevo ogni singola goccia /  e cado fino a lambire ogni avanzo. // Così. Avido di strapparti / a tutto ciò che non mi riflette / ti cerco fra ogni singola goccia che piange l’anima / e continuo a rovistare rabbioso / fra ciò che di te resta tuo. // Così. Sanguigno.» (Così, p.42). 
Nello stesso spettacolo emozionale e oggettivo, le acerbità si nascondono in flussi d’intelligenza, quasi distanti dall’immagine di “esordio”, assunte in larghi termini di irregolarità tensiva, strutturale, ed echeggiamenti di prosa poetica, maniere assertive spontanee, metaforiche, ardite, e ferite, la cui trama diviene viscerale, forse mediterranea a tutta dismisura, in cui qualcosa sempre soffoca e l’umano resta irretito in uno specchio senza ottimismo.
La solerzia di tutta questa inquietudine non fa la poesia ma rende un servizio all’assestamento propedeutico al percorso coraggioso che un giovane si propone, tra l’altro evitando la balbuzie dell’esperimento sconnesso e ormai tardivo per la storia del verso all’alba del nuovo millennio. Certi sintagmi non occultano misteri di espressione, il verso è a disposizione del suo élan vital anche quando non è necessario e il troppo dire non fa che disdire l’equilibrio della poesia ancora ingordo di sé. Qui oasi calda, qua e là manieristica, a volte necessaria usata come stimolo alla provocazione. Vito Davoli tenta nel miglior modo, quindi, di costruire il muro della sua salita alle nubi, da dove potrebbe scoprire il cielo, comunque aperto su qualcosa che certo sa in tutto leggere e in tutto scoprire, grazie a una positiva e possibile volontà in potenza! 
Intanto il lettore accetta (e segue) la sua ansia che in più parti si fa monologo e in esso esplorazione e rappresentazione globale, mai su sicuro idillio. Impresa non incerta, ripresa come nenia e come racconto che potrebbe stupirci più in là, sebbene i «Tramonti / volati con le ali dei gabbiani… / una stagione che finisce / non ti ritrova uguale» (p.55). Ma per la poesia ogni circostanza è diversa anche perché il progress diventa in essa adulto stato di coscienza.

Domenico Cara
Edito in La Vallisa, XXXIX, n.116 (Bari, Gennaio-Giugno 2021), p.82-83

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Altri giudizi critici

Il discorso poetico è ricco e complesso, a tratti difficile, sempre persuasivo per originalità e invenzione: penso, in particolare, a Notturno della stanza e della terra, a Vittoria, a Girasole al vento, a Spiaggia di Gennaio e ad altri testi di tanta efficacia e verità.

Giorgio Barberi Squarotti

Ho letto volentieri le Contraddizioni che sono, appunto,  proprio contraddizioni, a mio avviso, sia chiaro, in termini positivi: ovvero le contraddizioni del sapere usare come pochi (e quindi preziosi) la lingua italiana, con grande rispetto di scelte verbali e costruzioni, e nel contempo essere uomo del nostro tempo, abitatore di una realtà e di un tempo nei quali l’uomo è zero o poco, ma molto poco! Ebbene, non si è lasciato travolgere, un giovane, da provocazioni di “nuovo” ad ogni costo, ha anzi rivalutato il piacere dello scrivere e del leggere senza nascondere al lettore e a se stesso l’aspetto fondamentale della poesia e della vita: l’emozione!

Mauro Dentone

Bellissimo munus poetico il libro Contraddizioni, densamente coinvolgente e originale e, a quanto mi è parso di capire almeno ad una prima lettura,  portatore di un senso nuovo e di una nuova spazio-temporalità.

Fabio Dainotti

Edito in La Vallisa, XXXIX, n.116 (Bari, Gennaio-Giugno 2021), pp. 83-84

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Le metafore inconsuete delle Contraddizioni

Contraddizioni mi è parso un libro interessante e sapido, tanto nei movimenti più distesi, quanto nei guizzi aforistici più rapidi e concentrati.
I versi di quest’opera prima rispecchiano senza dubbio una sensibilità non comune, documentata, pagina dopo pagina, da metafore inconsuete e da certi arditi accostamenti di parole, nell’intento spesso riuscito di superare un “repertorio masticato” (p. 62).
La silloge rivela subito un abito riflessivo intessuto di interrogativi, intuizioni e induzioni, una trama meditativa intrisa non solo di razionalità, ma anche di sensualità, gusto coloristico e capacità di sognare, certo in antitesi alla vacua “retorica dei giorni” (p.38).
Si toccano quasi con mano i paradossi della contraddizione introdotti dalle incursioni della realtà esteriore ed interiore. Sono pure evidenti i diversi periodi di sedimentazione emotiva e poetica, dal disorientamento e dall’incertezza esistenziale di alcune pagine iniziali, così tipica soprattutto dei nostri tempi (anche come topos letterario), fino alla fase di spasmodica ricerca di “chiarezza e sensi di marcia” (p.83) in mezzo a tante “certezze preconfezionate” (p.62).

Marco Ignazio de Santis
Prefazione a Contraddizioni, Seconda Edizione, Amazon KDP, 2021


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Recensione a V. Davoli, Contraddizioni, Leucò, 2001

È un’opera di notevole intensità la silloge Contraddizioni del poeta pugliese Vito Davoli. Una raccolta complessa e sfaccettata, dallo stile ora aspro ora sinuoso ora sensuale. Un percorso all’insegna delle antitesi, condotto con lo “zaino della sussistenza” in spalla.

Contraddizioni sembra nascere nel segno della “gettatezza”. L’uomo si scopre scaraventato in un contesto dominato dalla montaliana arsura (pure tipica del nostro paesaggio mediterraneo), in cui bellezza e asperità coesistono e rappresentano addirittura due volti della stessa medaglia. Elemento chiave per cogliere lo spirito dell’opera ci sembra il ricorrere del mito di Altea. Uno dei primi testi, Figli di Altea, allude appunto a questa figura di madre che, dopo averlo a lungo custodito con amore e trepidazione, getta per rabbia nel fuoco il tizzone che garantiva continuità alla vita del figlio Meleagro, causando di fatto la morte del giovane. In apertura la lirica pone e si pone la domanda se gli uomini (e Davoli usa non a caso la prima persona plurale) non siano forse tutti figli di tale genitrice, pur ignorando di esserlo. Ci sembra di ravvisare, pertanto, già in apertura quel paradosso “creazione e ripudio” che il critico Leo Spitzer, facendo riferimento al récit de Théraméne nella Phedre di Racine, esprimeva in questi termini: “Tutto quanto il dramma si fonda in realtà sull’analogo paradosso che gli dèi ripudiano le proprie creature; mandano nel mondo l’uomo fornito di doni che alla fine risultano doni dei Danai, e lo abbandonano al suo fato”. Ecco che Altea finisce con l’essere, a nostro avviso, figura della Natura stessa o, se si preferisce, della Terra. Non ci pare ancora una volta un caso il fatto che, proprio nel testo a quest’ultima intitolato, Terra, il mito di Altea ritorni: “Altea martoriata all’ombra di Cristo / (anche per te una spugna / d’aceto stringente) / fra i tuoi figli non mi vedi”. Da un lato, dunque, torna l’icona di Altea che si ribella al suo essere madre provocando la morte di Meleagro, dall’altro si leva la parola del poeta/Meleagro che ripudia la madre terra stessa. Il motivo della maternità è vibrante in Contraddizioni; si pensi, per esempio, alla bellissima Madri, un’accorata apostrofe tutta giocata sull’onnipresente antitesi, nel momento in cui – per citare alcuni casi – l’io lirico si definisce “un inno alla vittoria prima della battaglia / al silenzio una voce in controcanto”. Frequente è anche la presenza dei bambini, tutti a nostro avviso figure dell’autore stesso, quasi ch’egli volesse ricongiungersi a una perduta – e forse mai realmente posseduta – condizione di innocenza.

A tal proposito, ci colpisce la frequenza di alcuni motivi, come quello dello “sputo” (usato in senso reale e figurato), della “corda” (gioco infantile ma anche trappola mortale, se diviene cappio), del movimento turbolento e della perdita dell’equilibrio. È come se il poeta squadernasse la sua fragilità, per poi affermare la propria forza interiore, eretta a dimostrazione del voler resistere al cospetto degli specchi stonati della vita, nella ricerca del “ricomporsi / graffiando per terra il mosaico disperso”. La Natura rappresentata è aspra e brulla, eppure amatissima; la luna non è presenza quietante, il sole non sempre illumina, il dolore assomiglia a una tela di ragno. Eppure qualcosa di salvifico in questa raccolta si può ravvisare. È il dialogo con l’altro da Sé, che assume ora le vesti della tradizione letteraria (si veda la bella risposta a Evtušenko) ora quelle del Tu, immaginario o reale, con cui Davoli intesse le sue conversazioni. E soprattutto una funzione catartica spetta alla poesia. Se la Natura crea e ripudia gli uomini, ai quali, a fronte di un mistero insondabile, non resta che cercare affannosamente certezze (magari il “varco” di cui parlava Montale), l’uomo può comunque creare qualcosa e Davoli – anche in questo percepiamo quella sua tensione al sacro che va oltre le appartenenze confessionali – sente di averlo fatto: “il poeta / padre e figlio dell’inchiostro / mi intona disperato / il suo lamento: / perché mai mi creasti? / Gli rispondo per salvarti”.

Gianni Antonio Palumbo
Edito in Giano Bifronte Critico, blog di Critica Letteraria
https://gianobifrontecritico.wordpress.com/2022/01/06/contraddizioni/ 



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