Lirismo, mediterraneità e classicismo trasgressivo. La produzione poetica di Dino Claudio.

È ormai universalmente riconosciuto che l’impronta della poesia di Dino Claudio è lirica, fortemente impostata in questo senso, e ne è anzi proprio il tratto identitario al punto che il lirismo di Dino Claudio è senza alcuno sforzo rintracciabile anche all’interno della produzione narrativa dove, forse, le matrici filosofiche, l’elaborazione del pensiero e l’interpretazione della realtà sono più evidenti o forse più facilmente raggiungibili rispetto alla produzione lirica. Ma qui è di quest’ultima che ci occuperemo.

Dino Claudio

E in questo senso, lirico appare perfino il percorso interpretativo suggerito dallo stesso Claudio fra i versi, il quale «predilige non tanto la regolarità del verso tradizionale, quanto piuttosto un sottile lavoro di adattamento alla matrice tipicamente lirica, fondata su endecasillabo e settenario […] al seguito di una musica lieve, suasiva, un poco rallentata, quale meglio si adatta alla contemplatività affascinata» (G. BARBERI SQUAROTTI, Prefazione a I sentieri del vento, p. VII). 

Non che non sia possibile identificare e percorrere sentieri diversi attraverso i mille stimoli che la poesia di Claudio offre, spesso nascosti, fra i versi ma è il Nostro fra i rari letterati la cui impronta identitaria lirica è sempre imprescindibile e prepotentemente presente in tutta la sua estesa produzione. 
Da giovane a precoce poeta a maturo narratore «il lirismo è in lui una condizione che resiste al tempo e che anche nella prosa gli concede […] il dono di investigare sentimentalmente negli archivi della sua memoria e di quelli della sua terra» (Giuseppe Farinelli). 

Pentagramma del vento è l’opera omnia che raccoglie la produzione poetica di Claudio e che offre un ben evidente percorso non solo cronologico e temporale ma soprattutto contenutistico e pure “tecnico”, intraprendendo il quale si trovano confermate le riflessioni che la critica letteraria nazionale ha sapientemente evidenziato in merito alla produzione del Nostro ma dove è anche possibile “cedere” o lasciarsi trasportare attraverso percorsi alternativi ricchissimi di stimoli diversi eppure sempre sotto quella lente identitaria fin qui sottolineata e mai assente.

D. CLAUDIO, Pentagramma del vento, Edizioni Lepisma 2008 

Vero è che la Poesia prima o poi fa i conti anche con i criteri del gusto e qui non c’è critica che tenga ma è anche vero che la poesia di Claudio «è sotto il segno di un’alta dignità formale e culturale classicamente intesa» (G. Barberi Squarotti) e direi pure di una sapienza “costruttiva” del verso sia in senso squisitamente tecnico che in quanto veicolo propedeutico (più ancora che didascalico) alla trasmissione del contenuto, che giustifica a pieno non solo l’attenzione di tanta parte della migliore critica italiana ma anche la conseguente collocazione del Nostro in un posto di assoluta preminenza nell’ambito della Storia della Letteratura Italiana.

Ed è la sua terra, la Puglia, il nostro stesso territorio quel «lievito poetico di accentuata suggestione», come lo definisce Frattarolo, quello nel quale questa poesia cresce, si sviluppa e giunge a maturazione. Particolarmente affascinante risulta la lettura di Giachery che traccia un filo diretto fra classicismo e legame con la propria terra insistendo sulla “mediterraneità” di questa poesia, ricca di «risonanze omeriche e orfiche e in un certo senso confinante […] da un lato con Garcia Lorca e dall’altro con Quasimodo». 

Ma la classicità di Claudio non è un semplice ritorno al classicimo: è una scelta perfino trasgressiva – come la definisce Bruno Rossi – che si configura come un «viaggio dentro l’uomo […] attraverso una speculazione poetica tutta parola, immagine, suono – non certo teoretico-filosofica». E ciò che rende trasgressiva l’intuizione poetica di Claudio «è la riproposizione coraggiosa e netta della fondazione ontologica della parola, direttamente connessa al senso stesso dell’umana condizione».

Insomma Claudio «da poeta, cerca di rifondare la parola per rifondare l’uomo» (B. ROSSI, La classicità trasgressiva di Dino Claudio, in Pentagramma del vento, pp. 284-285).



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