«Richiami classici che interagiscono con un sapore “rock”»: Marco Cinque legge «Carne e sangue»
Non oso azzardarmi in una retorica, noiosa e magari persino inutile analisi letteraria per questa nuova raccolta poetica di Vito Davoli. E forse già il titolo, Carne e sangue, dovrebbe sconsigliare un simile approccio. Ho anche pensato che un titolo come questo corra davvero il rischio di essere un deterrente per lettori che hanno della poesia una visione idealizzata ed eterea.
Addentrandomi in questo corpo poetico, attraversando le fibre dei suoi muscoli e scorrendo nel suo sistema venoso, ho avuto come la percezione di una sorta di viaggio di destrutturazione e di ricomposizione della materia poetica, come se l’autore si volesse in qualche modo disfare da tutto ciò che ha appreso – o è stato costretto ad apprendere – ma allo stesso tempo volesse ricostruire un mondo poetico che non sprechi nemmeno una briciola del proprio vissuto, degli insegnamenti avuti, delle gioie, dei dolori, dei sogni, delle disillusioni.
Emergono nei versi molti richiami classici, che interagiscono con un sapore “rock” e attuale che dà il ritmo ai testi, come si volessero integrare tra loro tempi e vissuti passati, presenti e futuri. Come se la musicalità classica e la ritmica moderna diventassero un tutt’uno inscindibile, materiale e tangibile, fatto, appunto, di carne e di sangue. Non uno spirito indistinto, ma un corpo pulsante di poesia.
Leggendo i versi di Vito, pagina dopo pagina, sono come tornato ai tempi in cui manipolavo la materia, cercando in essa qualcosa che avesse un senso o una risposta concreta alle mie domande teoriche. Ed è stato come tornare seduto al tornio di quel vecchio istituto statale d’arte romano di via del Frantoio, mentre circondavo con le mani una palla d'argilla, dandogli una forma mai doma e sempre diversa, che ogni volta cresceva, si allargava, si restringeva, cambiava, a volte si rompeva. E come in quel tornio potevo sentire la consistenza e il profumo della creta, così ora ho potuto percepire la carnalità e lo scorrere vivo del sangue nelle poesie di questa raccolta materica.
Credo che questo lavoro sia come il frutto di un parto dopo un lungo travaglio, dove Vito Davoli non ha solo e semplicemente scritto un libro di poesie, ma ha anche costruito il vaso della sua esistenza con le sue stesse mani. Un vaso da cui poter spillare versi, morsi di carne e sorsi di sangue. Perciò non posso che dirgli grazie per avermi saziato e regalato questa sbornia tanto generosa.
Marco Cinque