I Tei non ne possono più: una legge piena di imprecazioni contro i pirati

Sembrerebbe incredibile ma è così: i poveri Tei, vittime di ripetuti attacchi e saccheggi, evidentemente al limite della sopportazione, tirano fuori un decreto ufficiale nel cui testo l'imprecazione - una sorta del nostro più volgare "tu e tutta la razza tua" che sarà certamente meno nobile ma tant'é - diventa addirittura una espressione formulare utilizzata in un documento ufficiale. Documento composto da due frammenti disgiunti di una stessa stele ritrovati presso Teo, cittadina della Ionia poco a sud-ovest di Smirne.

  A I ὅστις : φάρμακα : δηλητή|ρια : ποιοῖ : ἐπὶ Τήιοισι|ν : τò ξυνὸν : ἢ

5        ἐπ' ἰδιώτηι, : κ|ὲνον : ἀπόλλυσθαι : καὶ α|ὐτὸν : καὶ γένος : τὸ κένο.:|

    II ὅστις : ἐς γῆν : τὴν Τήιην : κ|ωλύοι : σῖτον : ἐσάγεσθαι :| ἢ τέχνηι :

10    ἢ μηχανῆι : ἢ κατ|ὰ θάλασσαν : ἢ κατ' ἤπειρο|ν : ἢ ἐσαχθέντα :

           ἀνωθεοίη, : κὲν|ον : ἀπόλλυσθαι : καὶ αὐτ|ὸν : καὶ γένος : τὸ κένο.

  B III --|. . ἀπονοσ--| ξύοι : ἐν αὐτῶι--|

5   IV ὅστις : Τήιων : ε[ὐθ]ύνωι | ἢ αἰσυ[μ]νήτηι : . . . . ηι : ἢ | ἐπανισταῖ-

           το : τ̟[ῶ]ι αἰ[συμ]νήτηι, : ἀπόλλυσθαι : καὶ | αὐτὸν καὶ γένος τὸ

           κείν|ο.

10  V  ὅστις τõ λοιπõ αἰσυμ|νῶν̟ : ἐν Τέωι : ἢ γῆι : τῆι Τή|ιηι : . . . . οσαν.

            κ . ς ἀ[ποκ]τ|ένει[ε : ἢ . .] αρον : να . . . |ως : προδο[ίη : . . .]

            τὴ[ν] πό|λ[ιν : καὶ γῆν] τὴν Τήι|ων : ἢ τὸ[ς] ἄνδρας [: ἐν ν]|ήσωι


             ἢ θα[λάσσηι :] τὸ | μετέ[πειτ' ἢ τὸ] ἐν | Ἀρο[ί]ηι : περιπό[λιον

20     ἢ τõ] λοιπ̟õ : προδο[ίη : ἢ κιξα]|λλευοι : ἢ κιξάλλας : ὑπο|δέ-

             χοιτο : ἢ λεΐζοιτο : ἢ λ|ηϊστὰς : ὑποδέχοιτο : εἰ|δὼς : ἐκ γῆς : τῆς

             Τήιης : ἢ [θ]|αλά[τ]ης : φέροντας : ἤ [τι κ]|ακὸν : βολεύοι : περὶ

25        Τ[ήι]|ων : τõ ξυνõ : εἰδὼς : ἢ π[ρὸς] | ʽˊEλληνας : ἢ πρός βαρβά-

              ρο|υς, : ἀπόλλυσθαι : καὶ αὐ|τὸν : καὶ γένος : τὸ κένο. :|

30  VI οἵτινες : τιμοχέοντες : | τὴν ἐπαρὴν : μὴ ποιήσεα|ν ἐπὶ δυνά-

              μει : καθημέν|ο : τὠγῶν : Ἀνθεστηρίο|ισιν : καὶ Ἡρακλέοι-

35          σιν : | καὶ Δίοισιν, : ἐν τἠπαρῆ|ι : ἔχεσθαι. :

       VII ὃς ἂν τὰστήλ|ας : ἐν ἧισιν : ἡπαρὴ : γέγραπται, : ἢ κατάξει : ἢ

40       φοιν|ικῆια : ἐκκοψε[ι :] ἢ ἀφανέ|ας : ποιήσει, : κένον ἀπόλ|λυσ-

              θαι : καὶ αὐτὸν : καὶ γ|ένος [: τὸ κένο]


Vada in malora con tutta la sua stirpe chiunque voglia mettere in atto espedienti perniciosi ai danni della comunità dei Tei come del singolo. Chiunque impedisca che si introduca del grano nella regione di Teos sia con tranelli che con macchinazioni, attraverso il mare o la terraferma o faccia in modo che non si ricolmi quanto è vuoto, sia maledetto con tutta la sua stirpe!
Vada in malora con tutta la sua stirpe chiunque voglia disobbedire al magistrato dei Tei o voglia insorgere contro il giudice.
Chiunque, d’ora in poi, amministrando nel terri-torio di Teos… voglia uccidere ingiustamente un uomo… o abbia in mente di tradire… la città e la terra dei Tei, gli uomini nell’isola o per mare o, in seguito, nel circondario di Aroe o intenda praticare il brigantaggio o voglia accogliere i briganti, o voglia accogliere i pirati o intenda particare la pirateria sapendo che la loro razzia è stata effettu-ata nel territorio o nel mare di Teos o sapendo di portare qualcosa di dannoso alla comunità dei Tei, sia da parte di Greci che di barbari, sia maledetto con tutta la sua stirpe! Cadano nella stessa male-dizione quei giudici che non presenteranno con forza questa imprecazione in sede dei giochi delle Antesterie in onore di Eracle e Dioniso.
Chiunque rimuoverà la stele su cui è inciso il testo o le danneggerà o ne distruggerà il dettato o le renda illegibili, vada in malora con tutta la sua stirpe. 

L’iscrizione in esame è nota con il titolo di Imprecazioni dei Tei dal momento che contiene la formula di maledizione ἀπόλλυσται καὶ αὐτὸν καὶ γένος τὸ κείνο, «vada in malora lui e la sua stirpe»[1], ed è datata a dopo il 479 a.C. 
La recita di questa formula viene rivolta a quanti commettano specifiche infrazioni contro le autorità e le magistrature teie. Nello specifico: chiunque impedisca l’approvvigionamento del grano, chiunque abbia in mente di tradire la città e la terra dei Tei, chiunque pratichi brigantaggio e pirateria o che ne favorisca la diffusione in Teos, chiunque offra appoggio a imprese di stranieri su Teos.
La formula, come si è noterà a proposito della seconda iscrizione di seguito riportata, ritorna nella suddetta iscrizione, in un’altra veste, come «forma sviluppata dell’antica Diræ Teiorum»[2], come anche in Syll3, 578, l. 60 anch’essa proveniente da Teos. La recita di questa formula, secondo il Şahin, rientrava negli specifici compiti dei τιμούχοι che pare essere magistratura propria della città di Teos[3]. Accettando quest’ipotesi e considerando che la formula viene ripetuta ben sei volte all’interno dell’iscrizione in esame, ritengo si debba pensare alle Teiorum Diræ nel loro complesso come ad un decreto afferente all’iniziativa delle magistrature teie[4].


La maledizione, filo conduttore dell’intera epigrafe, viene indirizzata, come detto, a chiunque compia specifiche infrazioni. Di queste ultime mi soffermerò su quelle più intimamente legate al fenomeno della pirateria, foriere di numerosi risvolti interessanti all’analisi di alcuni aspetti propri del fenomeno stesso. Il più esplicito di questi riferimenti alla pirateria – che definisce i pirati con il generico λῃστής – compie una netta distinzione fra pirata e brigante, quest’ultimo indicato con κιξάλλης.
Secondo Ferone va sottolineato che il termine leistés «nella sua etimologia non presenta connota-zioni negative né riferimenti al mare, elementi, questi, di cui non sempre si è tenuto conto nell’interpretazione dei testi, spiegando tout-court λῃστεία con “pirateria”»[5]. Purtuttavia, dalla contrapposizione κιξάλλης- λῃστής, lo studioso ritiene si possa attribuire al secondo termine il valore proprio di “pirata” dal momento che la stessa contrapposizione compare identica in Democrito il quale spiega che κιξάλλεν καὶ λῃστήν πάντα κτείνων τις ἀθωῖος ἄν εἴν καὶ αὐτοχειρίῃ καὶ κελεύων καὶ ψήφῳ[6].

A suffragare quest’ipotesi, ritengo possano essere chiamati in causa gli usi verbali di ἄγω e φέρω di cui di cui ho avuto modo di discutere a proposito di IG., 112, 823. L’appropriazione indebita a cui rispondono i due verbi, la cui differenza è nell’oggetto dell’appr-priazione (la persona per l’ àghein e gli oggetti inanimati per il phérein), è testimoniata da numerose fonti letterarie[7] che avvalorano l’interpretazione dei due verbi in questa sede. Dunque, il riferimento alla pratica della pirateria alle linee 20-26 è abbastanza esplicito.
Ciò risulta particolarmente importante se si considera che l’epigrafe è datata dal Kirchhoff successivamente alla battaglia di Micale del 479 a.C[8]. tenendo anche conto del fatto che dal 478 al 431, l’avvento della pentecontetìa porta alcuni studiosi a ritenere conclusa – almeno temporaneamente – la diffusione del fenomeno[9].
Lettura, questa, che si dimostra evidentemente falsa insieme alla interpretazione storiografica che voleva la pirateria quale fenomeno legato al maggiore o minore grado di civiltà della società alla quale di volta in volta faceva riferimento.

Sono gli stessi Ateniesi, infatti,  a ricorrere ai pirati durante la guerra del Peloponneso[10] pur avendo indetto Pericle un congresso panellenico incentrato sulla sicurezza dei mari[11].
È McKechnie a ritenere che questa notizia non sia che un’invenzione propagandistica da riferirsi alla seconda metà del IV sec. a.C. quando il tema “pirateria” diviene un importante slogan politico nello scontro con Filippo II[12].

L’errata lettura del McKechnie trova l’opposizione, a mio parere più evidente, di un’iscrizione, rinvenuta sull’Acropoli di Atene[13], successiva al 447-446 che alle linee 7-9 recita [ν........] χρεμάτον ἐσφο[ρᾶς μὲ ἐ]ναι ἐπιφσε|[φι.......] ἐὰν μὲ λειστõν [hένεκα χ]συλλέφσε| [ος...... h]αυτõν ἄ[λ]λο εἶ[v.... in riferimento all’esenzione dall’imposta straordinaria dell’εἰσφορά nel caso di particolari meriti nei confronti di Atene come la cattura dei pirati[14].
Senza intrattenersi oltre, in questa sede, sul fenomeno della pirateria in età classica, sarà utile tuttavia concludere con Ferone che «è con l’età classica che inizia il processo di trasformazione della pirateria da attività occasionale legata al commercio e alla pesca, in attività professionale legata alla guerra»[15].

Interessa sottolineare, invece,  che accanto alla menzione di pirateria e pirati, si parla anche di chi voglia accogliere i pirati. Ciò rimanda all’esistenza delle basi, nel mondo antico, dalle quali partivano i raids dei pirati[16] e, al tempo stesso, si connotavano  come il luogo ideale per lo smercio del bottino[17].
Lo Psuedo-Demostene ci tramanda che, in relazione al decreto di Merocle[18], Melo fu multata da Atene per aver accolto i pirati[19] e Filippo II protestò con Atene perché i Tasi si comportarono allo stesso modo[20].
Ziebarth sottolinea come l’isola di Alonneso era stata occupata dai pirati e ipotizza un possibile collegamento fra le stesse[21]. L’appoggio che le basi offrivano ai pirati sarà stato sicuramente essenziale nel caso di raids per esempio finalizzati ad arrembare e depredare delle navi impegnate nei traffici commerciali. Qualora questi raids avessero avuto buon esito, fortemente a rischio sarebbe risultato l’approvvigionamento granario della città destinataria del carico navale benché, ovviamente, non fossero le derrate alimentari il precipuo interesse dei pirati[22]. È mio parere, pertanto, che anche la clausola inerente l’approvvigionamento granario sia da riferirsi al fenomeno della pirateria soprattutto in quella specificazione dei “tranelli” che si leggono alle linee successive, a mio giudizio allusivi ai “delatori” che riferivano ai pirati rotte e merci dei naviganti[23]. Pertanto, al di là di ulteriori studi inerenti altre clausole dell’iscrizione in esame[24], ritengo che tra i motivi che più fondatamente abbiano giustificato la stesura di questo documento rientri, in misura considerevole, proprio la pirateria. Teos, infatti,  con Amorgo – per quanto riguarda le iscrizioni di questa raccolta – insieme ad altre isole come per esempio Thera, risulta particolarmente esposta ai raids dei pirati tanto che, nella seconda metà del III sec. a.C., si autoproclamerà inviolabile (ἄσυλος)[25].



[1] Cf. es. linea 40.

[2] Cf. S. Şahin, Piratenüberfall cit., p.26.

[3] Cf. supra, nota 2.

[4] A proposito dei timoùchoi, cf. S. Şahin, Piratenüberfall cit., p.26; inoltre Syll3, 578, nota 20.

[5] Cf. C. Ferone, Lesteia cit., p.44.

[6] Cf. 68 B 260 Diels-Kranz: «Se uno uccide un qualsiasi brigante o pirata dovrebbe essere esente da pena, sia che l’abbia ucciso di sua mano sia affidando il mandato ad un altro, sia eseguendo una deliberazione del tribunale» (trad. C. Ferone, op. cit., p.48 e nota 26). Di certo in questo caso il termine λῃστής avrà assunto un’ accezione del tutto negativa; vd. supra, nota 5.

[7] Cf. Senofonte, Anab., V 5, 13 e Demostene, XVIII 230 in riferimento ai pirati; mentre in riferimento a mercenari e trierarchi cf. Dem. XXIII 61 e LI 13. Cf., inoltre, C. Ferone, Lesteia cit., p.60.

[8] Cf. A. Kirchhoff, Studien zur Geschichte des des griechischen Alphabets, Güsterloh 1887, p.13, nota 1.

[9] Cf. C. Ferone, Lesteia cit., p.86.

[10] Cf. Tucidide, IV 9 e 41.

[11] Cf. C. Ferone, Lesteia cit., p.31.

[12] Cf. P. McKechnie, Ousider in the Greek Cities in the Fourth Century B.C., London 1989, p.103 sulla scorta di R. Seager, The Congress Decree: Some Doubths and a Hypothesis, in «Historia» XVIII (1969), pp. 129-141.

[13] Cf. S. Cataldi, Symbolai e ralazioni fra le città greche nel V sec. a.C., Pisa 1983, n°6, p.147.

[14] Cf. C. Ferone, Lesteia cit., p.38, nota 16.

[15] Cf. supra, nota 11.

[16] Che queste basi fossero segrete ritengo sia facilmente evincibile per almeno tre aspetti connessi a questo fenomeno:
1) per il generale tono di segretezza in cui avvengono i prepatarivi dell’attacco pirata (spie, informatori etc.);
2) quando uno stato decide di combattere il fenomeno della pirateria, non attacca direttamente un luogo dove presume possano essere stanziati i pirati ma intraprende campagne di promozione (per chi consegna allo stato in questione i pirati stessi: cf. S. Cataldi, Symbolai cit., n°6 = IG I, 25 e C. Ferone, Lesteia cit., p.38, nota 16) e di repressione (per chi non rispetta le clausole di divieto di accogliere i pirati: cf. Ferone, Lesteia cit., p.84, note 98-100). Se avessero conosciuto questi luoghi è presumibile che avrebbero agito direttamente su questi, senza passaggi intermedi. Tanto più che uno stato che intraprenda campagne di questo tipo, doveva essere in diretta “concorrenza” con i pirati stessi se questi premiavano la città che li ospitava con una parte del bottino (cf. C. Ferone, Lesteia cit., pp. 87-88, nota 120). Città che, per questo motivo, oltre che per paura di poter essere razziate esse stesse, erano ben motivate a collaborare coi pirati (cf. C. Ferone, Lesteia cit., p.92);
3) quando si intraprendono viaggi, gli stati scortano i carichi importanti perché evidentemente non sanno da quale parte possa provenire l’attacco dei pirati. Se avessero conosciuto le basi più direttamente interferenti con la rotta da intraprendere, più facile sarebbe stato agire direttamente su quelle prima del viaggio stesso.

[17] Cf. A. Bielman, Retour cit., p.123.

[18] Cf. IG, II,141 (Syll.3, 263).

[19] Cf. Ps.-Dem. LVIII, 56.

[20] Cf. supra nota 18.

[21] Cf. E. Ziebarth, Beiträge cit., p.16.

[22] Particolarmente interessante, sebbene non afferente all’ambito cronologico che definiamo ellenismo, è una testimonianza archeologica sottomarina relativa alla cosiddetta Nave di Spargi, naufragata negli ultimi anni del II sec. a.C. nell’arcipelago della Maddalena (cf. P. A. Gianfrotta, Commerci e pirateria: prime testimonianze archeologiche sottomarine, in «Mélange de l’Ecole française de Rome» XCIII (1981), pp.227-242). Lo studioso italiano sottolinea il fatto che la nave non sarà affondata né per cause accidentali (il fondale marino è abbastanza profondo in quei luoghi per non permettere l’affiorare degli scogli) né a scontri militari, trattandosi di una nave da carico. Tuttavia, il ritrovamento di una calotta cranica (unico resto umano sul relitto) insieme ad un elmo, denuncerebbe comunque un’avvenuta collutazione probabilmente con dei pirati i quali, avendo tralasciato il resto del carico di poco valore o difficilmente smerciabile (anfore e vasellame vario, una statuetta di bronzo e una di marmo, un candelabro, pietre dure lavorate e semilavorate e resti di mobilio) avranno depredato (φέρειν) gli oggetti più preziosi e rapiti (ἄγειν) gli occupanti della nave per essere venduti, un po’ come accade nei Racconti Efesii (I, 13-14) o in Achille Tazio (III, 20) dove la dinamica è la stessa. L’affondamento della nave, poi, va collegato al fatto che «una nave catturata in assenza di basi stabili e ben difese dove condurla, una volta entrata in un qualsiasi porto, sarebbe stata, presto o tardi, riconosciuta». (Cf. P. A. Gianfrotta, Commerci cit., p.234).

[23] Cf. IG. XII 3, 328 (Syll.2, 921).

[24] A proposito delle proditorie manovre – come le definisce C. Ferone, Lesteia cit., p.86 – di un qualche magistrato, cf. anche L. e J. Robert, Inscription cit., p.24, nota 230.

[25] Cf. S. ŞAHIN, Piratenuberfall auf Teos. Volksbeschluß uber die Finanzierung der Espressungsgelder, “Epigraphica Anatolica” XXIII (1994) qui di seguito riportata.


* * *


I PIRATI SI PADRONISCONO DELLA CITTA' DI TEO
(seconda metà del III sec. a.C.)

Si tratta di una stele di marmo bluastro, dagli angoli molto smus-sati, anticamente eretta presso il tempio di Eracle a Teos.
Reperita in un luogo imprecisato e di lì riutilizzata, insieme ad altri massi, come gradino per l’ingresso di una villa, l’epigrafe si presenta fortemente lacunosa.
Fra l’ultima riga e il fondo compare uno spazio anepigrafico. A causa dell’intervento di una ruspa, risulta danneggiata la fascia centrale del testo con una perdita del numerale di linea 34 e del toponimo di linea 45.
Dimensioni dell’epigrafe: 1,60 m in altezza; 0,55 m in larghezza; 0,26 m in profondità.
Dimensioni delle lettere: 0,012 m in altezza; 0,007 m in largezza e profondità.
Più piccole delle altre lettere risultano essere omicron, theta e omega.

[Si mantengono, in questa trascrizione, la partizione e le integrazioni operate da S. ŞAHIN, Piratenuberfall auf Teos. Volksbeschluß uber die Finanzierung der Espressungsgelder, “Epigraphica Anatolica” XXIII (1994)]

I
§1    ?--------------?
            [               ]Ι̟Λ̟Ν̟Ε̟[                                                                               ]
    2    [              ]ΝΗ̟ΤΑ̟Ι̟Ο̟Ν̟Ο̟Ι̟[                                                                   ]
            [                                      ]μεν̟α χρέα ΤΟ̟Ι̟ ̟[                                        ]
      4    [                                    ]τωτοις ἐν̟ε̟στ̟ι̟[          ]Τ̟ ̟ ̟ ̟Α̟[          ]Φ[         ]
            [                  ]ΟΛ[             ]σθαι το[̟ ̟]̟  V[     ]τ̟ε̟ ̟ν̟ο̟[                            ]
      6    [           ]ηται· [ἐπα]̟ινέσαι δὲ τ̟ῶ̟ν̟ σ̟τ̟ρα̟τηγῶν κ̟α̟ὶ̟ τ̟ῶ̟ν̟ [τιμούχων     ]
            [                ]Λ̟Ι̟[̟ ̟ ̟]σ̟ωσι φιλοτίμ̟ω̟ς ἐ̟π̟[ιμε]μελῆσ̟θ̟α̟ι̟ Τ̟[                      ]
      8    [              τ]οῦ δή̟μ̟[ου] κ̟αὶ σ̟τ̟εφανῶσαι ἕκαστον αὐτῶν̟ [                ]
            [                ] ἀ̟νειπ̟[εῖν   ]τ̟ω̟ι̟ ̟α̟ραΤ̟ε̟ω̟ι̟ τοῖς V? Δι[ο]νυσίο̟ι[ς              ]
      10  [  τὸν κ]ήρυ̟κ̟α̟ Ι̟[   τ]α̟[ῖ]ς ἄλ̟λαις ἀ̟ρα̟ῖς κ̟α̟[θ'] ἕ̟καστο[ν ἐνιαυτὸν    ]
            [     -α]ρχων Μ[          ]η̟ δυ̟νά̟μ̟[ει]ς, ὦν τὰ ἐψηφι[σ]μ̟έν̟α̟ τ̟υ̟[          ]
      12  [         ]ω̟νηι Λ[             ]Υ̟Τ̟[ ̟ ̟ ̟ ̟ ̟ ]Ο̟ΙΤΑ τῆς ἀπ̟ο[δ]όσε̟ω̟ς [              ]
            [                   ]̟ισμ̟[                      ]Λ̟Ι̟ς ἐπ̟ὶ πρυτάνεως Ν̟Ι̟[                   ]
      14  [          ]Λ̟[                       ὄτ]̟ι ὁ̟ δῆ̟μ̟ο̟ς ὁ Τ̟ηΐων ἐ̟π̟ιστ̟α̟τ̟[                   ]
            [δόναι                   ]Ν̟Τ̟Α̟Σ̟ ̟ ̟ ̟ Ρ̟Τ̟Ο̟Ν̟ ̟ ̟ ωντ̟ι̟ τοῖς ΕΙΣ̟Ε̟ ̟Π̟[                   ]
      16  [                                              τ]ἀ̟ δ̟α̟ν̟[ε]̟ισ̟θ̟ένται καὶ μὴ ο̟[              ]
            [                                                            ]τα̟ύτηι,̟ ὧ̟ν̟(?) ειλ̟[                ]
      18  [     τὰ δὲ ἀναλώματα τὰ εἰς ταῦτα ἐσόμενα διδόναι τοὺς] ταμίαςvac.?̟

V      a      c      a      t

II
§2     [  ̟        ]ω̟ν̟ [                                      ̟]Ε̟Ι̟ ̟ Ω̟Ν̟ γνώμη · ἐ̟π̟[ειδὴ           ]
    20  [                                                                ] κ̟α̟ὶ̟ τοὺς στ̟[ρατηγοὺς?   ]
            [         ]̟ ̟ ̟ ̟ ̟ ΑΥ̟ ̟ ̟ ̟ ̟ ̟ ̟ ̟ ̟ ̟ ̟ ̟ ̟ ματου̟ ̟Η̟Μ̟[   ?ἀργ]υρίον Α̟Ι̟[                          ]
      22 [ὑπερ τ]ῆ̟ς [σω]τ̟ηρ̟ίας κ̟α̟[ὶ] α̟ὐ̟τῶν κα̟[ὶ] τ̟έ̟κνων [καὶ γυν]α̟[ικ]ῶ̟[ν]
              καὶ τ[ῶν ἐν τῆι πόλει καὶ εν]
       23  [τῆι χώ]αι δ̟[ε]δ̟όχ̟θα[ι] τ̟ῶ̟ι δήμωι, ὅπως συν̟τελ̟ῶ̟μ̟ε̟ν τ̟ὰ ὡμολο̟[
                γημένα χρέα]
       24  [       τοὺς πολί]τα[ς π]άντας κ̟ατ̟αξιοῦν δανείζειν τόκων δεκάτων
                το[          ]
       25  [   πάντα τὰ ἐ]ν τ̟[ῆι] πόλει καὶ ἔγγεια καὶ ναυτικὰ καὶ τὴν χώραν
                καὶ [                       ]
       26  [           ]η̟ν [?τῶ]ν ἐλευ̟θέρων σωμάτων ἕως κομίσωνται αὐτ̟ὰ κ̟αὶ̟
                [τὰ ὡμολογημένα ?]
§3 27  [?χρέα τὸ] ἀπ̟[ὸ] τ̟ῆς ̟τιμήσεως γινόμενα κατὰ τὸ ψήφισμα, ἐὰ̟ν̟ [    ]
       28  [            -]Λ̟ηι [τὰ] χρήματα τοῖς δυνείσασι · τῶν δὲ δανεισθέν [των
                χρημάτων               ]
       29  [              ]̟ ̟ μη ̟ ̟ ̟ μηδὲ εἰσφρὰς ἀπὸ τούτων τῶν χρημάτων  [ἐὰν δὲ
                οἱ στρατηγοὶ] 
       30  [καὶ τιμοῦχοι] τ̟α[ύτα]ς τὰς χρείας παράσχωνται τοῖς δανείσ̟[ασι ·
                εἶναι δὲ αὐτοῖς ἐν τοῖς]
       31  [ἀγῶσιν προε]δ̟ρ̟ία̟[ν] τὴν αὐτὴν καὶ τοῖς ἱερεῦσι καὶ
                στεφαν[οῦσθαι αὐτοὺς καθ' ἕκαστον]
       32  [ἐνιαυτὸν τοῖς] Δ̟ιονυσ[ίοις] ἅ̟μα τοῖς εὐεργέταις τῆς πόλεως τοῖς
                λη̟[                          ]
       33  [                      -]χειν̟ θαλ̟[λ]οῦ στέφανον κατὰ τὰ αὐτά · ἀναγράψαι
                δ[ὲ τοὺς ταμίας τοὺς πο]-
       34  [λίτας πάντα]ς ὅσο̟ι̟ ἅν̟ [ ̟ ̟ ]ς μνᾶς δανείσωσιν καὶ χρείας
                παράσχ[ωνται εἰς στήλας · ἀπο]-
§4 35  [γράψαι δὲ τοὺς π]ολίτας πά[ντ]ας καὶ ὅσοι κέκτηνται ποτήρια ἢ
           κοσ̟μ̟[ήματα ἀργυρᾶ ἢ]
     36  [χρυσᾶ καὶ ἀρ]γύριον ἄσημον ἢ ἐπίσημον ἐν ἡμέραις τρισὶν καὶ
                εἴκ[οσι ·                 ]
       37  [          ]ω̟ι καθάπερ κα̟ὶ̟ [τοῖ]ς τὸ ἐπ̟ί̟σ̟ημον εἰσενέγκασιν · ἀ̟ ̟[         ]
       38  [        πάντες] κ̟α̟ὶ πᾶσαι ὅσοι παρο[ικ]οῦσιν ἐν τῆ̟ι̟ π̟όλει κατὰ τὰ
                α̟ὐ̟τ̟ὰ [                     ]
       39  [        καὶ εἴ] τ̟ινες ἄλλοι ἔχουσιν [τῆ]ς πόλ̟ε̟ω̟ς ἀ̟ρ̟γ̟ύ̟ριον ἢ χ̟ρύσ[ιον
                καὶ μὴ ἀπέγραψαν?]
       40  [                 ]Λ̟Ι αὐτοῦ εἶναι τῶι βουλομ[έ]ν̟ωι̟  ̟Ι ἀδικοῦντι · ὅσοι δὲ
                [εζνέχυρα παρέλαβον]
       41  [ἀπό τινων ἀπογρα]ψ̟άτωσαν μὲν αὐτοὶ τὰ ἐνέχ̟υρα,
                ἀπο[γρ]αψάτωσα[ν δὲ πάντες καὶ πᾶσαι]
       42  [ὅσοι   ὅ]σ̟ο̟ν̟ ὀφείλεται ἐπὶ τοῖς ἐνεχύ̟ρ[οι]ς αὐ[τῶ]ν̟·τὸ δὲ π̟λ̟ε̟ι̟[    ]
       43  [ἀπογραψάτωσαν] δὲ̟ καὶ ὅσοι παρακαταθήκας ἔχουσ[ιν]
                ἀ̟[πό]τ̟ι̟νω̟ν̟ ἢ ἄλ[λων              ]
       44  [                  · ἀπογραψ]ά̟τ̟[ω]σαν δὲ καὶ ὅσοι π̟[α]ρ̟ο̟ι̟κ̟ο̟ῦσιν ἐν τῆι
                [πόλει] πάντες [κατὰ τὰ αὐ]
       45  [τά · ἀπογράψαι δὲ] π̟άντας ὅσοι π[α]ροικοῦσιν ἐν τῆι πόλει [ ̟ ̟ ] ̟
                ρωι Χ̟αι ̟ ρ̟ιω̟[                          ]
       46  [                 ] τ̟ε̟ μὴ κεκτήσεσθαι μηδὲ ποτήριον ἀ̟ρ̟[γυ]ρ̟οῦν μηδ[ὲ
                χρυσοῦν μηδὲ]
       47 [     ?ἐν     ποικ]ί̟λοις μηδὲ εἱματισμὸν [γ]υ̟ν̟αικεῖον πο[ρ]φύραν̟
               ἔ[χ]ον [μηδὲ             ]
       48 [                ] μ̟ὴ πλατύτερας εἰκοστοῦ μέρους δακ̟τ̟[ύ]λ̟ου ἐκ
               πήχεο[ς μηδὲ            ] 
§5 49 [                 ]τ̟ος τάδε περὶ κεφαλὴν πλὴν χρυσο̟κ̟λ̟[ύσ]τ̟ων . ὀμόσαι
               δ̟ὲ̟ [πάντας τὸν νό]-
       50 [μιμον ὅρκ]ο̟ν· ἐπιμεληθῆναι δὲ τοῦ ὅρκου τοὺς στ[ρατ]ηγοὺς κ̟α̟ὶ̟
               τ[ιμούχους· ἐὰν δέ]
       51 [τις μὴ ὀμόσ]ῃι κατὰ τὸ ψήφισμα ἐπιδημῶν ἀποτίνει[ν] δραχμὰς
               π̟ε̟[ντ-
       52 [                ] ̟ ικ̟η̟ν ἔχειν κατὰ μηθενός· κατὰ δὲ ἐκείνο[υ] ̟τῶι
               βουλομένωι [φῆναι ἔξεστιν·]
       53 [πᾶσι δὲ το]ύτοις ε̟ἶ̟ναι παραγενομένοις ἐν ἡμέραις ε[ἴκ]οσι ὀμόσαι
               κ̟α̟ὶ̟ [ἀπογράψαι]
       54 [κατὰ τὰ αὐ]τὰ ἐν τῶι ψηφίσματι· τοὺς δὲ ὀμόσαντας [τὸ]ν ὅρκον
               ἀναγ[ραψάτωσαν οἱ στρα]-
       55 [τηγοὶ καὶ τ]ιμοῦχοι εἰς λευκώματα καὶ ἐκτιθέτωσαν ε[ἰς τὴ]ν
               ἀγ[ορὰν, ἐ]φ'ἦ̟ι̟ [ἀξιοῦσιν?]
       56 [ἐὰν δέ τ]̟ι̟ς φω̟ραθῆι κ̟ε̟κτημένος τι τῶν ἀπειρημέ[νων] καὶ ̟ ̟ ̟ ̟Ι
               ἐνηνο̟χ̟[-                             ]
       57 [             ] ̟  ̟  ̟ τω̟ν εἶν̟[α]ι καὶ εἶ̟ν̟αι τῶν ε̟ὑ̟ρηθέντων τ̟[ὰ] μ̟ὲν ἡμίση̟
               τοῦ φή̟ναν̟[τος τὰ δὲ ἡμίση]
       58 [τῆς πόλεω]ς· ἐπιμέλεσθαι(sic) δὲ τῆς ἀφα̟ι[ρέ]σ̟[ε]ω̟ς κ̟[αὶ] τῆς
               πράσεως τ̟ῶ̟ν εὑρ̟[ηθέντων τοὺς]
       59 [ταμίας· ?ἀποδίδ]ο̟σ̟θαι [δ]ὲ̟ τοὺς κ̟εκτημένους τὸν [εἱ]ματισμὸν τὸν
               ἀπειρημ[ένον                ]
       60 [        ἐν ἡμέραις] τ̟ρ̟ι̟σ̟ὶν καὶ εἶναι ἀτελεῖς καὶ ἐ[ξά]γοντας καὶ̟
               αὐτοῦ πωλ[οῦντας?  ]
§6 61 [                ]κα τοῖς Διονυσίοις καὶ τοῖς θεσ[μ]οφορίοις· τῶι
               ἐμμένοντι [ἐν τῶι ὅρκωι]-
       62 [εὖ εἶναι, τ]ὸ̟ν δ̟ὲ μὴ ἐξ̟ώλη εἶναι καὶ α̟[ὐτὸ]ν καὶ γένος τὸ ἐκείνου·v
               εἶ[ναι δὲ ταῦτα εἰς]
       63 [τὴν σωτηρίαν] κ̟α̟ὶ αὐτῶν καὶ τέκνων καὶ γυναικῶν καὶ τῆς πόλεως
               [καὶ τῶν ἄλλων τῶν]
       64 [ἐν τῆι πόλει] κ̟α̟ὶ̟ ἐν τῆι χώ̟ραι.v τιμήσα[σ]θαι δὲ τοὺς πολίτας κα̟ὶ
               τοὺ[ς παροικοῦν]-
§7 65 [τας ἀφ' ἧς ἄν] ἡ̟μ̟έρας οἱ πειραταὶ ἐκ τ[ῆς] πόλεως ἀπέλθωσιν·v 
               ἀν[αγράψαι δὲ τόδε τὸ]
       66 [ψήφισμα καὶ τὰ] ὀν̟όμ̟ατα τῶν δανεισ̟άν̟τ̟ω̟ν πατρόθεν καὶ τὸ
               πλῆθος τό [κων δεκάτων καὶ]
       67 [                      ]ν̟ε̟ι̟ση̟ν τὸν τ̟αμ̟ί̟α̟ν̟ Κ̟ρ̟ι̟τ̟ίαν εἰς στήλας λιθίνας καὶ
               ἀν[αστῆσαι παρὰ τῶι]
       68 [ἱερῶι τοῦ Ἡρα]κ̟λ̟έους.

V      a      c      a      t

«(Durante la pritania… l’assemblea popolare ha deciso)… i pagamenti pattuiti…(ai pirati)… di lodare (le azioni) degli strateghi e dei timouchi… (affinché tutti i cittadiniche hanno prestato denaro generosamente)… e incoronare ciascuno di loro… e proclamare alla Dionisie nel luogo… il messaggero in molte orazioni (annuali)… le cose decise… della restituzione… durante la pritania di NI-… che il popolo dei Tei… che gli oggetti di valoresono stati ricevuti come credito e non… i finanzieri devono pagare (dalla cassa) i costi necessari a questo proposito.

V      a      c      a      t 

Delibera (degli strateghi). Poiché… e degli strateghi… del denaro per la salvezza di se stessi come anche dei bambini e delle donne sia in città che in campagna, è parso opportuno all’assemblea popolare che si raccolgano i mezzi finanziari pattuiti… determinare che tutti i cittadini prestino denaro per il finanziamento della decima (per i pirati perché) ogni cosa nella citta, nella campagna e nel territorio marittimo (resti senza danno).

…dei cittadini liberi finché essi non tornino a casa e quanto stabilito in base alla stima delle ricchezze calcolate, conformemente alla delibera… i denari presso i creditori, ad essi è da attribuirsi la proedria negli agoni così come ai sacerdoti e siano incoronati ogni anno alle Dionisie insieme agli evergeti della città; per queste ragioni [spetta ad ognuno di loro] una corona d’ulivo.

Gli addetti alle finanze registrino sulla stele tutti quei cittadini che… hanno prestato mine e hanno procurato denaro. Tutti quei cittadini che possiedono vasi e gioielli di argento o dell’oro non contrassegnato o anche contrassegnato devono di-chiararlo entro 23 giorni; coloro che portano denaro non contrassegnato, siano trattati come coloro che portano denaro contrassegnato.

Tutti e tutte coloro che risiedono in città come forestieri [dichiareranno] ugualmente e se qualcun altro possegga oro o argento nella città [non dichiarerà] a chiunque è lecito sporgere denuncia contro l’ingiustizia. Coloro che possiedono oggetti di valore di altri devono dichiarare ciò anche come pegno; coloro, invece, i cui oggetti di valore sono lasciati presso altri come loro pegni, devono altrettanto dichiarare. Devono dichiarare anche coloro che posseggono oggetti di valore affidati ad altri; sono tenuti alla dichiarazione tutti coloro che risiedono nella città di Kairios (Haieros). A nessuno è permesso restare in possesso di oggetti non dichiarati, né di coppe d’oro o d’argento né… né in colori variopinti né di un ambito femminile color porpora né di un bracciale che sia più largo della ventesima parte di un dito né di ornamenti del capo tranne di quelli placcati in oro.

Tutti sono tenuti al tradizionale giuramento. Dello stesso giuramento si occupino gli strateghi e i timouchi. Se qualcuno non vuole giurare secondo questa delibera, nonostante sia presente, deve pagare 5… dracme di punizione.

Contro nessuno… se vuole, [sporgere denuncia]. Tutti coloro che nei (prossimi) venti giorni giungeranno qui, devono giurare e dichiarare, come previsto dalla delibera. Gli strateghi e i timouchi devono far registrare sul marmo tutti quelli che hanno giurato ed esporre sull’Agorà dove paia opportuno.

Se qualcuno viene colto in possesso di qualcosa di proibito, gli sia sottratto e una metà delle cose deve appartenere a chi riferisce, l’altra metà alla città. Al sequestro e alla vendita degli oggetti sorpresi, devono interessarsi i tesorieri.

Chi possiede un capo d’abbigliamento vietato deve [consegnarlo] entro tre giorni. Colui che denuncia, lo si esenti da tributi e… deve essere permesso l’acquisto alle Dionisie e alle Tesmoforie.

Chi agisce secondo questa delibera [gli può tornare utile] ma chi non fa questo sia maledetto lui e l’intera sua stirpe. Così sia per la salvezza di se stesso, dei figli, delle mogli, della città e di tutti gli altri nella città e nella campagna. I cittadini e gli stranieri, il giorno in cui i pirati abbandoneranno la città, devono essere sottoposti a verifica. Il tesoriere Kritias iscriva su stese di pietra questa delibera con i nomi dei creditori e i patronimici e la quantità della decima… esponga nel tempio di Eracle.

V      a      c      a      t


Questo documento è evidentemente una delle più preziose e puntuali testimonianze circa l’intervento dei pirati ai danni di un’intera comunità, pur rappresentando un caso assolutamente straordinario in quanto a metodologie e tempi di estorsione[1].

L’epigrafe non fornisce elementi particolarmente chiari per una precisa datazione che viene fatta risalire dal ŞAHIN, in base alle caratteristiche paleografiche, alla seconda metà del III sec. a.C.: «I nessi storici dell’evento, nella forma conservata dell’epigrafe, non sono evidenti»[2].
Mancano, infatti, menzioni di magistrature alle linee 1-5 mentre a l. 13 compare un pritano NI[---] non meglio identificabile. Unico dato temporale esplicito nel documento risulta essere la menzione del mese τρυγητήρ (l. 70), attestato qui per la prima volta come nome di mese[3].
Secondo i calcoli del ŞAHIN, in questo mese, corrispondente a settembre[4] (τρυγητήρ = viticoltore) e più precisamente nel suo ultimo giorno, stando alla menzione del mese απατουριών (ottobre) di l. 97, avrebbe abuto inizio la registrazioni delle contribuzioni con cui rispondere al ricatto dei pirati descritto in questa iscrizione.

Riporto qui solo parte dell’intera iscrizione scoperta in Turchia nel 1976: in specie le prime due delle tre parti in cui il primo editore suddivide il documento epigrafico[5]. La parte omessa corrisponde ad un lungo elenco di nomi e patronimici dei creditori ai quali lo stato è obbligato a restituire una certa somma di denaro di cui si specificherà in seguito[6].

L’azione dei pirati colpisce, dunque, la città di Teos che, in seguito a questa aggressione, emana un decreto col quale “invita” i suoi concittadini, come anche i semplici residenti in città, a dichiarare tutti i beni in loro possesso. Quest’intervento straordinario supplisce l’insufficiente – in questo caso – dona-zione tradizionale a cui adempivano gli evergeti della città dal momento che, come dimostra il ŞAHIN, la cifra “richiesta” dai pirati dovette essere davvero onerosa per le casse dei Tei. Il contenuto di questa delibera, pertanto, da un lato, con maggior evidenza, viene a regolamentare le metodologie di esazione dei tributi calcolati in base alla decima parte della totale ricchezza di ciascun individuo ma dall’altro, meno palesemente, ci arricchisce di una serie di informazioni relative a quanto sono andati compiendo i pirati nella città di Teos e nel suo territorio.

Procedendo per ordine: nel decreto si legge l’esortazione dello stato affinché tutti i cittadini prestino del denaro da destinare ai pirati (l. 24) e fra questi – cosa che già comincia a delineare la gravità della situazione – non saranno da ritenere escluse neppure quelle magistrature incaricate di provvedere alla corretta esecuzione dell’intero provvedimento giacché, come dimostra lo studioso a proposito della linea 19, «anche gli impiegati eletti per il controllo e la realizzazione della questione hanno prodotto domanda»[7]. In realtà, nel corso della nostra epigrafe, si è nettamente al di fuori di un contesto di donazioni volontarie o di pacifiche esortazioni a utili contribuzioni: lo stato obbliga i cittadini a pagare il prezzo della libertà con un giuramento (ll. 49-50) e una serie minuziosissima di divieti a mantenere non censiti in proprio possesso oggetti di valore (ll. 35-36, 41-42, 46-49) la cui dichiarazione potrebbe produrre un accrescimento di quel dieci per cento dell’intera ricchezza di Teos così esplicitamente richiesta dai pirati.

Ritengo che questo passaggio, a mio modesto giudizio poco chiaro nel commento del ŞAHIN[8], trovi così una più evidente chiarificazione. Lo stato, infatti, sua sponte non avrebbe avuto alcun interesse a far ammassare nel bottino utile al pagamento del riscatto proprietà di così ampio margine di valore (da oggetti di oro massiccio a bracciali minuscoli, come recita la linea 48) se i pirati si fossero limitati a chiedere semplicemente il 10% del valore complessivo delle proprietà di Teos. Se così fosse stato, sarebbero state le stesse autorità cittadine a stabilirne un approssimativo valore certamente il meno oneroso possibile per le casse dei Tei. È per questo che ritengo più evidente ciò che pure il ŞAHIN stabilisce alle pagine 14-15; vale a dire che i pirati avranno preventivamente stabilita e quindi richiesta una somma. peraltro elevatissima, che ritengono opportuno far coincidere – non senza una loro motivazione di cui infra – con la decima parte della ricchezza totale dei Tei e così, in base a quel metro (τόκοι δεκάτοι) la popolazione avrà proceduto all’accumulo della somma. Il tutto sotto l’occhio vigile dei malviventi, temporaneamente stabilitisi nella città (l. 65).

Dall’epigrafe apprendiamo che nel corso del III sec. a.C. un gruppo di pirati si impafronì del territorio di Teos compresa la stessa città nella quale, messi agli arresti alcuni magistrati[9] e rapiti alcuni cittadini (l. 22), parte di essi vi si trattenne (l. 65) e l’altra condusse gli ostaggi in qualche luogo più sicuro: ritengo quasi certo si tratti di una delle famigerate basi segrete di cui l’Egeo pullulava[10].

I pirati, dunque, posero il prezzo da pagare in base a quel τόκοι δεκάτοι di cui si è accennato sopra. Ogni cittadino, come si evince dal testo, fu dunque obbligato a dichiarare l’intero suo patrimonio: τόκοι δεκάτοι di quel patrimonio sarebbe stato versato per il pagamento ai pirati; la decima parte del patrimonio di ognuno avrebbe cumulativamente costituito la decima parte dell’intera ricchezza di Teos, vale a dire ciò con cui i pirati avevano identificato la somma da loro richiesta. Lo stato, pertanto, al fine di accumulare denaro quanto più possibile pari alla somma richiesta dai pirati, emanò una serie di divieti e obblighi imponendo anche la registrazione dei pagamenti e l’esposizione delle liste nel tempio di Eracle (l. 68).

Una più attenta analisi dell’operazione finanziaria sarà utile anche alla maggiore comprensione di luoghi meno chiari all’interno del decreto.
L’espressione τόκοι δεκάτοι si piega ad una duplice interpretazione[11]. Senza dilungarci tanto sulla prima (“prestare denaro a un tasso d’interesse del 10%”)[12] ritenuta dallo studioso apparentemente più plausibile ma sicuramente più debole, egli stabilisce che l’espressione corrisponde alla decima parte del censo di ciascun individuo obbligato a dichiarare il suo intero patrimonio. È lecito ritenere, secondo lo studioso, che esistesse una somma minima[13] per le contribuzioni (più o meno accessibile – come ritengo – anche ai meno abbienti) e quindi esistessero anche dichiarazioni patrimoniali il cui 10% superava l’importo limite. In questo caso la differenza fra il minimo stabilito e il surplus percentuale dichiarato e versato rimaneva comunque in mano allo stato a titolo di somma presa in prestito, da restituire successivamente ai creditori (δανείσαντες[14] e l. 100 nella parte qui omessa del decreto) mentre le somme al di sotto di questa soglia valevano semplicemente come importo in perdita. L’epigrafe presenta, infatti, due diversi luoghi su cui registrare le dichiarazioni: λευκώματα (l. 55) e στέλας (l. 67).
Sulle prime (tavole imbiancate), ŞAHIN definisce essere registrati i nomi di quelli che avevano dichiarato i propri averi sotto giuramento e probabilmente anche gli oggetti dichiarati[15]. Non è da escludere, inoltre, che «servivano allo scopo del controllo cittadino, all’occorrenza al risarcimento delle denunce contro le persone (l. 57 e ss.) che avevano dato false dichiarazioni o proprio nessuna»[16], tenuto conto che nella nostra epigrafe compare anche una serie di dettami atti a regolamentare le denunce contro coloro che non rispettavano gli obblighi precedentemente emanati dallo stato[17]. Sulle seconde, invece (stele), venivano registrati i τόκοι δεκάτοι veri e propri accanto ai rispettivi creditori[18].

Converrà approfondire qualche dettaglio in più già accennato dal ŞAHIN stesso.
La minuziosa esegesi dello studioso porta lo stesso a chiarire la regolamentazione delle denunce nel senso che segue: «A chiunque è concesso, contro ciò che è ingiustizia, sporgere denuncia» (l. 40); «contro nessuno a cui è consentito sporgere denuncia deve essere intentato un processo» (l. 52); inoltre colui che sporgeva denuncia godeva di certi privilegi quali, ad esempio, l’entrata in possesso, al momento della denuncia, della metà degli oggetti trovati (l. 52) che potevano essere venduti o esportati entro tre giorni senza alcun pagamento di tasse (ll. 59-60).
Lo studioso sottolinea, inoltre, il fatto che indirettamente veniamo a conoscenza dell’esistenza di qualche tassa sull’acquisto o sulla vendita di oggetti di lusso.

È mia opinione che, nei tre casi appena elencati, le autorità di Teos, interessate com’erano ad accumulare ricchezze, paiano incentivare queste forme di denuncia evidentemente per limitare il danno di quanto sarebbe potuto sfuggire al loro controllo. Benché, infatti, non appaia chiaro il limite temporale dei tre giorni (si intendono forse tre giorni concessi al “delatore” prima dei canonici e/o ulteriori gravami fiscali o che non si tratti semplicemente di un abile raggiro, data la difficoltà dell’esportazione e il fatto che la vendita ad altri significava far aumentare il patrimonio di quelli e quindi la decima da dichiarare?), certo è che quella metà che entrava in possesso del denunciante, entrava ipso facto nel suo patrimonio, perciò passibile di obbligo di dichiarazione. 

E ancora: se pure l’esenzione fiscale riguardasse la decima parte del censo in questione, ferma restando l’impossibilità dell’esportazione in una città temporaneamente governata da pirati, cosa accade tributariamente al nuovo eventuale acquirente? Così come il denaro ricavato dalla vendita, sarà da annoverarsi all’interno del patrimonio del venditore dopo i tre giorni stabiliti? Insomma, è lecito pensare ad una ponderata e lungimirante operazione dello stato che in questo modo non veniva a perdervi assolutamente nulla.

La stessa citazione τόκοι δεκάτοι viene anche indicata dal ŞAHIN quale spia per una probabile identificazione dei pirati che compaiono in questa iscrizione. Δεκάται, per esempio, sono chiamate da Pausania (I, 28, 2) le offerte ricavate dalle decime dei bottini di guerra dedicate agli dei che, a loro volta, finivano per appellarsi δεκατήφοροι[19]. Un Apollo con questo appellativo figura fra le divinità adorate dai Cretesi, noti nel III sec. a.C. proprio per la loro costante attività di pirati.
Non sarà un caso, infatti, che Teos, evidentemente estenuata dai non rari interventi dei pirati nella città (se non prima, sicuramente a partire dal V sec. a.C.: vd. Teiorum Diræ), si autoproclamerà ἄσυλος cioè inviolabile in nome di Dioniso. La richiesta di riconoscimento di questa nuova condizione di inviolabilità sarà indirizzata, fra gli altri, oltre che alla confederazione etolica, soprattutto all’isola di Creta, come evidenzia il ŞAHIN alle pagine 2 e 3 dell’opera già citata.

A questo punto lo studioso sottolinea come solo parte dei pirati si sia trattenuta in città mentre una parte dell’equipaggio potrebbe aver trovato rifugio più sicuro in un luogo non lontano da Teos dove potrebbe aver condotto un certo numero di σώματα rapiti[20]; cosa che credo appaia evidente non tanto dalle linee 22 e 25, citate dallo studioso insieme alla l. 26, quanto dall’esplicita menzione, alla stessa linea 26, ἕως κομίσωνται.

Nel testo, infatti, le linee precedenti quest’ultima non escluderebbero, quand’anche improbabile, la possibilità che i pirati, giunti a Teos, abbiano solo minacciato di intervenire pesantemente contro persone e cose – abbiano cioè minacciato di ricorrere al loro legittimo diritto di συλᾶν – se non gli si fosse corrisposto il pagamento di un elevato tributo da essi stessi indicato e fatto esplicitamente balenare quale debito da assolversi nei confronti della divinità. È solo la l. 26 che fa luce su un effettivo rapimento compiuto dai pirati ai danni di cittadini liberi!
Lo studioso adduce tre esempi[21] epigrafici in base ai quali evidenzia come «la cattura e la salvaguardia di liberi cittadini è un tipico caso durante le trattative con i pirati»[22]. Tuttavia ritengo che queste iscrizioni (almeno le prime due[23]), seppure preziosissime in quanto alla cronaca degli eventi che caratterizzano un’azione piratesca e ai destini dei malviventi, non bastino da sole, senza la l. 26 di questa iscrizione, a stabilire l’avvenuto rapimento; tanto più che con questa epigrafe si è al di fuori di un “normale” o canonico episodio di aggressione da parte dei pirati come quelli tràditi dalle due epigrafi citate.

Sono diversi, infatti, gli elementi che ne sanciscono la straordinarietà e che spingono, poi, a porsi alcune domande in merito. Valuto necessario sottolineare alcuni elementi particolarmente indicativi dell’am-bito nel quale operano questi pirati.

A)   È del tutto probabile che essi operino nell’orbita degli interessi di qualche potenza all’epoca fiorente nell’Egeo orientale.

Ritengo questa la più probabile delle motivazioni che giustificherebbero un possibile intento propagandistico dei pirati, a proposito del quale discuto infra, sull’esigenza dei pirati stessi di dare alla loro azione una parvenza di legalità[24].

B)    I pirati di questa iscrizione non appaiono preoccupati da eventuali attacchi esterni.

Al più che ovvio blocco degli espatri non corrisponde affatto, come si evince dall’epigrafe, un blocco delle immigrazioni: i pirati governano temporaneamente non solo Teos ma l’intero suo territorio circostante (ll. 45 e 64), naturale barriera prima di giungere alla ricca città costiera dove erano stanziati ed inoltre erano tenuti alla dichiarazione e al versamento anche i temporanei residenti in Teos (ll. 38 e 44) e coloro che vi entravano nel mentre l’operazione era in corso (ll. 53-54 e 64-65)[25].

C)    Essi appaiono abbastanza sicuri della buona riuscita della loro oculata quanto “meditata” razzia. A Teos, infatti, si trattengono ben 23 giorni (l. 36).

Detto questo, viene da domandarsi come mai questi pirati abbiano sentito l’esigenza di un’ulteriore ga-ranzia con il rapimento di liberi cittadini di Teos se non per l’incolumità di essi stessi all’interno di una popolazione ostile? Ed è noto il destino a cui venivano sottoposti i pirati catturati![26]

Ritengo pertanto che, proprio perché all’interno di una situazione anomala di aggressione piratesca, anche il rapimento di cittadini liberi assuma una connotazione leggermente differente rispetto a casi precedentemente considerati; vale a dire di garanzia necessaria non tanto alla buona riuscita dell’operazione finanziaria quanto alla propria diretta incolumità. A definire meglio questa mia precisazione, credo possa essere chiamato in causa ancora quel τόκοι δεκάτοι opportunamente indicato dal ŞAHIN quale chiave di volta per la comprensione di questo documento.

Di certo in un’operazione piratesca non poco conto ha il rapimento di cittadini quale valida contropartita a garantire i positivi esiti della missione; e in questo senso è difficile trovarsi di fronte a saccheggi che non prevedano l’ἄγειν di liberi  σώματα. Tuttavia, provando a spostare il punto di vista dell’intera vicenda, in questa iscrizione appare abbastanza evidente che i delinquenti mostrano particolare cura a non apparire essi in qualità di pirati e la loro azione come un saccheggio.
Se quella non fosse stata un’operazione piratesca, non avrebbero dovuto aver bisogno di garantirsi con un rapimento. Per converso: se l’operazione non fosse stata davvero, in base all’esegesi del ŞAHIN, solo ciò che essi volevano far credere e cioè la soluzione, anche se forzata, di un debito, avrebbero potuto garantirsi facendo ricorso direttamente alle leggi con minacce di ritorsione o soltanto con la già forte presa di posizione nei confronti di strateghi e timouchi presumibilmente messi agli arresti[27].

Ritengo, altresì, che l’eventuale messa agli arresti di strateghi e timouchi sia da distinguere decisamente dal rapimento di cittadini liberi riportato successivamente nella stessa linea 22. L’arresto dei magistrati, in quanto pubblici ufficiali investiti di una qualche responsabilità, potrebbe ancora configurarsi come un atto all’interno di viatici previsti dalla legge, tenuto conto del reclamo fatto propagandisticamente balenare dai pirati quale giustificazione della loro impresa e cioè la mancata soluzione di un debito dei Tei (Cf. infra).

D’altronde la richiesta di una cifra così esorbitante inoltrata dai pirati fa sbiadire, in questo caso, il valore economico che i prigionieri assolvono in una “normale” operazione di saccheggio: mi domando, cioè, quanto appetibile potesse apparire l’utile che i pirati avrebbero potuto ottenere dalla vendita di prigionieri sul mercato degli schiavi se sull’altro piatto della bilancia pesavano – e non poco – i proventi da ottenere con τόκοι δεκάτοι.

Sarà utile, a questo proposito, considerare i conti eseguiti dallo studioso circa il bottino incassato dai pirati il quale, seppure piegato ad un calcolo approssimativo, a causa della lacunosità del documento che nega dati importanti, rende bene l’idea della enormità della cifra: «La conservazione di tutte le steli citate nell’epigrafe (l. 67) con la lista completa dei creditori sarebbe per noi di grande significato per ricavare un’idea concreta sul potere finanziario di una polis ellenistica funzionante» (S. ŞAHIN, op. cit., p. 27; inoltre, infra, nota 32). Egli evidenzia il fatto che i pirati non consideravano la loro operazione come un saccheggio bensì come «un tributo al loro dio Apollo Decateforo»[28].
Proprio in virtù di quanto appena specificato, credo doversi specificare questa affermazione come segue: i pirati sanno bene ciò che stanno compiendo e lo dimostra l’estrema sicurezza dei loro movimenti; sanno perfettamente di quali assicurazioni abbiano bisogno e se le procurano tutte. Parimenti, però, hanno specifici interessi per presentarsi, attraverso τόκοι δεκάτοι, come operanti all’interno di un contesto assolutamente legale. Per cui il loro sforzo è in una direzione propagandistica più che contenutistica e l’occasione offerta dai Tei è più che appetibile.

A questo punto restano da specificare ancora due punti importanti in relazione a quanto appena sta-bilito: in primo luogo il quadro storico nel quale va a collocarsi l’operazione, che appare strettamente connesso al modo in cui viene condotta la trattativa da parte dei pirati[29]; in secondo luogo una anche approssimativa definizione degli utili ricavati dai pirati con l’intera operazione. Sarà utile, pertanto, riportare qui di seguito una sintesi delle somme stabilite dal ŞAHIN nel suo studio non prima di aver specificato le figure precise che prendono parte all’atto della contribuzione vale a dire:
1) i donatori ossia benefattori ed evergeti della città di cui si discuteva nella prima parte fortemente mutila della delibera;
2) i creditori, i δανείσαντες delle linee 28 e 69, ossia coloro verso cui lo stato era in debito del disavanzo fra la soglia minima fissata per le contribuzioni e l’eccedente obbligatoriamente dichiarato e versato come prestito da questi;
3) il pagatore collettivo, così definito dal ŞAHIN per indicare l’intero corpo dei contribuenti, cittadini di fatto e stranieri residenti a Teos che non godevano di nessun credito in quanto il loro contributo si manteneva al di qua della soglia minima (oltre al ŞAHIN, sull’argomento anche C. FERONE, Lesteia cit., p. 91).

Detto questo, lo studioso puntualizza alcuni numeri:

·        alla fine della delibera (ll. 70-102) un parziale elenco dei creditori relativi ai primi due giorni (l’ultimo del mese τρυγητήρ e il primo del successivo mese απατουριών[30]) conta 24 persone nei confronti delle quali il debito dello stato ammonta a 20.000 dracme di Alessandro, 315 monete d’oro e 2.090 dracme locali; il credito individuale ammonta, dunque, a 800-900 dracme di Alessandro più 13 monete d’oro[31].

·        Alle linee 100-101, nella parte dell’epigrafe qui omessa, per il già citato Eukles si calcola un patrimonio mobiliare complessivo pari a 40.000 dracme di Alessandro e 19.000 dracme locali in base alla decima (τόκοι δεκάτοι) dichiarata, corrispondente a 4.000 dracme di Alessandro e 1.900  dracme locali[32].

·        Il primo giorno dell’operazione potrebbero essere state registrate 18 o 19 persone che, come cifra mediamente accettata per i 23 giorni interessati, restituirebbe un totale di circa 450 persone ovvero 1/3 o ¼ del  numero totale delle famiglie – 1500 – allora residenti in Teos. Così «strateghi e timouchi avrebbero avuto a che fare quotidianamente con (…) 70-80 rappresentati di famiglie»[33].

·        Il ŞAHIN invita a confrontare queste cifre da un lato con lo stipendio annuale medio di un insegnante di cetra e di un insegnante di tiro con l’arco, rispettivamente pari a 700 e 250 dracme locali[34], dall’altro con le donazioni effettuate da 300 famiglie benestanti di Kos[35], per il finanzaimento della guerra contro i Cretesi del 200 a.C. circa, pari a quasi 140.000 dracme (400 per famiglia)[36].

A disporre di maggiori dati, aggiungerei un confronto ulteriore col ricavato della vendita dei prigionieri sul mercato degli schiavi che tuttavia ritengo certamente inferiore in base alla più che probabile disparità fra il numero dei prigionieri e quello dei dichiaranti di questa epigrafe, vale a dire un’intera città. Questo credo renda abbastanza evidente il vantaggio portato dai pirati dalla scelta di una razzia “tranquilla” piuttosto che da altre forme di predazione. Questa scelta sarà stata possibile anche e soprattutto grazie alla particolare condizione politico-militare dell’Egeo orientale in questo periodo: particolarmente caotica quindi favorevole allo sviluppo di forme diverse di illegalità, come del resto è evidente dall’enorme macchina estorsiva messa su dai pirati di questo documento.

La pirateria, infatti, raggiunge in questo frangente la sua massima fioritura che troverà il suo apice nel Κρητικὸς πόλεμος del 205/4 a.C. nel quale il fenomeno giocherà un ruolo fondamentale negli scontri fra Rodi e le citta cretesi.

Il panorama che si delinea in questo periodo vede nell’Egeo orientale Antioco III ascendere a spese dei Tolomei mentre a settentrione Filippo V di Macedonia continua la sua politica di conquista approfittando dell’impegno di Roma contro Cartagine in occidente. Nel mezzo si ponevano Rodi e Pergamo, avversarie dell’asse constituitosi fra macedoni e seleucidi.

Secondo HERMANN[37], nel 197/6 a.C. questi ultimi svincoleranno Teos dalla dipendenza dagli Attalidi facendola rientrare nella propria sfera di influenza. In ogni caso, il ristagno politico e il fervore militare provocato dalle suddette potenze in gioco avrà fine solo con l’intervento di Roma ad oriente una volta terminata, nel 201 a.C., la seconda guerra punica e fino ad allora alleata “passiva” di Rodi e Pergamo. Nel frattempo, però, la pirateria assume un ruolo fondamentale non solo in quanto esplosione di illegalità non vincolata dalla soggezione a una qualche potenza egemone nel territorio ma soprattutto come complemento militare essenziale al quale le stesse potenze fanno ricorso. Primo fra tutti Filippo V di Macedonia, intervenuto nel pòlemos del 205 a.C. per seguitare la sua politica di conquista che a capo della sua flotta contro i Rodesi, invia l’arcipirata Dicearco.

Ritengo di particolare interesse sottolineare il fatto che, all’interno degli eserciti macedoni, si istituisca un particolarissimo trait d’union fra le due popolazioni note come le più dedite alla pirateria: Dicearco, infatti, è di origini etoliche ed interviene al fianco dei cretesi. Una pirateria, dunque, eccezionalmente fiorente potrebbe aver dato vita ad una estorsione altrettanto eccezionale come quella descritta nella nostra epigrafe. Infatti non è improbabile, secondo il ŞAHIN[38], che «solo dopo questa amara esperienza, Teos si sia messa al fianco delle più forti potenze di allora, vale a dire di Antico III e Filippo V, per frenare le future aggressioni di pirati».
Tanto più che la città ionica non è nuova ad aggressioni di questa natura. Come si è gia sottolineato, Teos è vittima dei pirati già a partire dal V sec. a.C., data a cui fanno riferimento le note imprecazioni dei Tei[39] alle quali la nostra epigrafe rimanda anche attraverso la l. 62 dove si incontra la formula della maledizione già presente nella più antica iscrizione[40]. Oltretutto devono essere state proprio le numerose visite dei pirati a spingere la città, ormai sfinita da secoli di saccheggi, ad autoproclamarsi “inviolabile” secondo quanto codificato a proposito di συλᾶν cioè il diritto di rappresaglia[41].
Si poteva fare ricorso alla ἀσυλία (inviolabilità) se le città che vi ricorrevano «o erano subordinate a una forza egemone oppure possedevano un celebre luogo sacro in base al quale esse potessero rivendicare tale privilegio»[42]. Evidentemente la città di Teos prova entrambe le strade se, grossomodo nello stesso periodo, si schiera con macedoni e seleucidi e si consacra a Dioniso al quale, nella città, l’architetto Ermogenes di Alabanda aveva innalzato un tempio[43].

Le richieste di ἀσυλία dei Tei vennero fatte fissare nel tempio di Apollo Decateforo nella città cretese di Apollonia e, non a caso, le risposte alla richiesta dei Tei provengono per la gran parte proprio da Etoli e Cretesi[44]. è possibile, secondo quanto stabilito da HERMANN[45], mettere in relazione la nostra epigrafe con la richiesta di inviolabilità di Teos proprio attraverso la lunga esperienza della città con la pirateria. Pertanto il ŞAHIN conclude che la richiesta di ἀσυλία potrebbe essere maturata proprio in conseguenza dell’ultimo attacco dei pirati denunciato in questo documento.

Tuttavia ritengo di poter considerare possibile una ulteriore ipotesi, vale a dire che sul piano religioso si consumi uno scontro di tutt’altra natura: a Teos consacrata a Dioniso risponde Creta con gli obblighi verso Apollo Decateforo. Altresì, una possibile successione degli eventi che qui di seguito propongo, farebbe precedere la richiesta di ἀσυλία all’attacco descritto nella nostra epigrafe.

Con la precedente autoproclamazione di inviolabilità della città di Teos, in seguito probabilmente ad un’ulteriore precedente razzia (evidentemente finora non ancora documentabile ma altrettanto evidentemente non improbabile in virtù di quanto appena contestualizzato), Creta e le potenze attorno a cui orbitava potrebbero aver ottenuto un appetitoso pretesto per piegare Teos e inglobarla nella propria sfera di influenza attraverso le legittime richieste di vedere esauditi gli obblighi nei confronti di Apollo Decateforo[46]. Quindi potrebbe essere stata la stessa Teos ad offrire – paradossalmente per difendersi – l’occasione per legittimare un attacco di macedoni e seleucidi che diversamente sarebbe rientrato molto difficilmente in un perfetto ordine legale. Trovo così confermato il mio giudizio sull’intento propagandistico dei pirati[47], esecutori materiali delle volontà dei regni da cui erano assoldati. Ciò ovviamente non rimette in discussione il fatto che di pirati si sia effettivamente trattato. Al contrario, appare piuttosto confermare ulteriormente l’identità cretese dei malviventi, come stabilito dal ŞAHIN. Oltretutto, in base ad un’affermazione dello stesso studioso, ritengo di poter individuare quel punto nel quale l’esecutore materiale che orbita nella potenza che lo assolda si caratterizza, in questo caso, come pirata.

ŞAHIN sostiene che «essi hanno eventualmente indicato una somma forfettaria secondo la propria valutazione»[48]. Vale a dire che i Cretesi a Teos agiscono con l’intento non tanto di far rispettare gli obblighi nei confronti di Apollo Decateforo: essi non irrompono nella città chiedendo semplicemente il pagamento della decima dell’intero patrimonio bensì obbligano i Tei al pagamento di una somma già prestabilita da essi stessi e alla quale viene opportunamente applicata l’etichetta di τόκοι δεκάτοι.



[1] Un’utile sintesi è edita in C. FERONE, Lesteia, Napoli 1997, pp.90-92.

[2] S. ŞAHIN, Piratenüberfall auf Teos. Volksbeschluss über die Finanzierung der Erpressungsgelder, in «Epigraphica Anatolica», XXIII (1994), pp. 16-17, n.19

[3] S. ŞAHIN, op. cit., pp. 27-28 e pp. 31-33

[4] «Un più tardo periodo dell’anno sarebbe certamente poco favorevole alle attività dei pirati sul mare», S. ŞAHIN, op. cit., p.30 e p.34, l.97

[5] A sua volta l’iscrizione, scoperta nella città turca di Seferihisar, sarà da ritenersi pure essa parte di un più ampio complesso di stele (vd. linea 67) su cui sarà stato registrato l’intero elenco dei contribuenti e delle somme corrisposte. S. ŞAHIN, op. cit., p.5: «L’epigrafe sembra essere incompleta nel suo senso generale (…). Le stele andate perse e non ancora scoperte potrebbero aver contenuto, oltre ad altre utili informazioni, le successive liste dei creditori di Teos e delle loro somme mutuanti». 

[6] Cf. infra, n.11-13-15 e 16-17-18.

[7] S. ŞAHIN, op. cit., p.16-17, n.19.

[8] Il ŞAHIN scrive in tedesco pur non essendo – presumo – di nazionalità tedesca.

[9] Cf. infra, n.27.

[10] Cf. E. ZIEBARTH, Beitrage zur Geschicte und Seehandels im Alten Griechenland, Hamburg 1929, p.16 e l'epigrafe IG XII 7, 386; Syll3, 521.

[11] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.19-20 e supra n.1

[12] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.18, l.24/66/69-a.

[13] Il ŞAHIN quantifica questa somma minima facendola corrispondere a una mina (= 100 dracme) come forse già stabilito nella prima parte del decreto; cf. S. ŞAHIN, op. cit., pp.3-4 e p.22, l.34.

[14] Per una più utile sintesi delle figure giuridiche coinvolte nell’obbligo del pagamento ai pirati, cf. C. FERONE, Lesteia cit, (vd. supra, n.1). Inoltre infra, n.28 e 29a.

[15] Vd. l.64; inoltre cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.25, l.55.

[16] Cf. supra, n.15

[17] Vd. ll.40, 52, 59 e 60. Inoltre cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.23, pp.24-25 e p.26.

[18] Il ŞAHIN tuttavia mantiene aperte due possibilità esegetiche per questa seconda lista, in base ai dati da essa offerti, Nella parte qui omessa dell’epigrafe, alle linee 99-101, compaiono due casi differenti di contribuzione che lo studioso mi pare eviti di mettere in relazione: le 4000 dracme di Alessandro che figurano quali τὸ πλῆθος τῶν τόκων δεκάτων sotto la dichiarazione di Eukles e le più modeste 66 dracme di Alessandro che, allo stesso titolo, compaiono sotto la dichiarazione di TO[---]. Nel primo caso, identificando questa cifra come il dieci per cento delle ricchezze di Eukles, invita a considerarla esemplificativa della complessa condizione patrimoniale del “contribuente”, quantificata intorno alle 40.000 dracme di Alessandro. Nel secondo caso, invece, essendo le 66 dracme ben al di sotto della soglia minima (stabilita intorno alle 100 dracme), non esclude che la lista possa annoverare i debiti dello stato nei confronti dei legittimi creditori già comprensivi di detrazione della somma minima stabilita per cui l’importo complessivo di TO[---] andrebbe calcolato in 166 dracme di Aessandro. Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.27, l. 69 e p.34, ll. 99-100.

[19] Cf. PAUSANIA I 42, 5 e CI, 1142; W. DITTEMBERGER – K. PURGOLD, I. Olympia, n°254. Inolre S. ŞAHIN, op. cit., pp. 19-20, n. 27, 28, 29, 30.

[20] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.3

[21] IG XII, 7 n°386 = Syll3, 521; I. V. Efeso (I. K. 11, 1) n°5 = IG XIII, 3, 171 in onore degli Astipalei; L. ROBERT, Hellenica, XI-XII, p.132 ss.

[22] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.17, ll. 22-26-63

[23] Cf. supra, nota 21

[24] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.34 e infra n.45-46-47-48

[25] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., pp.35-36

[26] Cf. l’iscrizione IG XII 3, 171 sulla cattura e la punizione dei pirati da parte degli Astipalei. 

[27] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.3 a proposito della l. 22 dove la citata «salvezza di se stessi» se riferita ai magistrati poco prima menzionati non si giustificherebbe senza una condizione di evidente pericolo in atto.

[28] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.19

[29] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.34 e ss.

[30] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., pp.27-28, l. 70

[31] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.4

[32] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.27

[33] Cf. supra, nota 30

[34] Cf. Syll3, 578

[35] Cf. PATON-HICKS, Inscriptions of Cos, n.10

[36] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.4

[37] Cf. P. HERMANN, Antiochos der Große und Teos, in ANATOLIA IX 1965, p.106 e infra n.46

[38] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.36. Inoltre, a proposito delle “contaminazioni” fra pirateria cretese ed etolica.

[39] Cf. la precedente iscrizione nota come Teiorim Diræ (= Syll3, 37-38)

[40] Secondo il ŞAHIN «questa stessa forma di maledizione è una forma sviluppata della antica Diræ Teiorum». Inoltre la si incontra anche nella già citata Syll3, 578. Faccio notare come tutte le tre iscrizioni considerate (le due citate e questa in esame) provengano da Teos e il ŞAHIN sottolinea come «l’annuncio pubblico di questa maledizione (ἀρά) era un dovere d’ufficio proprio dei τιμούχοι» (Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.26) che pare essere magistratura propria di Teos e del suo circondario: la si incontra ancora in Syll3, 578 alla linea 60. Di queste magistrature Strabone ne contò addirittura 600: cf. Syll3, 578, nota 20.

[41] Per uno specifico approfondimento su tale diritto di συλᾶν, cf. B. BRAVO, SULÂN, Rappresailles et justice privée contre des étranges dans le cités greques (Ètude du vocabulaire et des institutions), «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa» serie III, vol. X (1980), pp. 675-987; S. CATALDI, Symbolai e Relazioni tra le città greche nel V sec. a.C., Pisa 1983, in specie n°3, pp. 53-86.

[42] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., p.1-3. Inoltre, per un utile confronto fra ἀσυλία e ἄγειν καὶ φέρειν, cf. C: FERONE, Lesteia, Napoli 1997, pp. 59-61; P. DUCREY, Le traitments des prisonniers de Guerre dans la Grèce Antique. Des origines a la conquéte romaine, Paris 1968, pp. 39-44.

[43] S. ŞAHIN, op. cit., p.3-4 e note relative. Ricompare, attraverso Teos, ancora il binomio Dioniso-pirati sul quale si è già discusso e di nuovo si tornerà. Allo stesso proposito cf. anche le tavole apposite con relative didascalie. Inoltre, un’ulteriore iscrizione citata dal ŞAHIN in nota 35, mette in relazione Dioniso alle rappresaglie: lì la maledizione usata usata nelle iscrizioni teie (vd. supra, nota 40) viene proferita contro la violazione del diritto di ἀσυλία del santuario di Dioniso in loco (I. von TRALLEIS I [36,1] n°3).

[44] Cf. supra, nota 38

[45] Cf. P. HERMANN, op. cit., p.131

[46] Cf. supra, n.37 e n.38

[47] Cf. supra, n.28 e n.29

[48] Cf. S. ŞAHIN, op. cit., pp. 18-19 

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