Le postille di GIULIA NOTARANGELO a «Carne e sangue»

Un titolo corporeo e materico, in apparenza plebeo, che può spiazzare. Una copertina raffinata con l’immagine de l’Amor sacro e Amor profano di Tiziano, con le figure  femminili invertite, (come mi  ha  fatto notare lo stesso autore)  e dunque dovrebbe rinominarsi Amor profano e Amor sacro.

L'Amor sacro e l'amor profano di Tiziano


Ad una prima lettura ci si trova ancora una volta  di fronte ad una dimostrazione di bravura, di tecnica, di competenza, di maestria e all’affiorare continuo di una cultura multiforme, policentrica e sedimentata: una sorta di enciclopedismo dei nostri giorni che non può, non lasciare un segno. Questo coinvolgimento appare naturale a chi scrive che forse cerca in chi legge un compagno di viaggio, un interlocutore  da trasportare «in un giovane e fragile gioco come giostra che non gira in tondo». 

C’è di tutto: termini aulici  o specifici, presi in prestito da linguaggi settoriali, preziosismi, citazioni, così come allitterazioni, anafore, rime in disordine (mi riferisco ai Sonetti claudicanti) in una continua girandola che spesso  lascia senza fiato.
Un incipit pacato (Sulla battigia) sulle orme montaliane del “Meriggiare pallido e assorto”,  ma come quello,  altrettanto aspro: «per quanto variegati all’infinito, […] nessun coccio / s’incastra esattamente con un altro» e l’elogio della  fragilità, dell’instabilità e del dualismo: «Sopra una linea di confine / in equilibrio incerto / percorro questa strada […]. Un’altra linea di confine / laddove cielo e mare evadono e rientrano, / invadono ed espugnano: / lì sono / confondendo la lotta e l’abbraccio» (La linea).

Ma la poesia è duttile e, come la creta che viene continuamente plasmata e riplasmata, può assumere varie tonalità, può contrarsi, ma anche essere lussureggiante, barocca  con quel gusto innato per la metafora già presente nella precedente silloge Contraddizioni.
È una poesia spesso autoreferenziale: «Ma l’arte è un senso oscuro / che quando è dentro trova / artistica ogni cosa» (Come giostra che non gira in tondo).
La parola AMORE da Vito Davoli viene  vista nella sua totalità e con il gioco dell’etimologia, diventa anche «un costrutto privativo / che nella lingua nega / costumi e abitudini» (A-MORE). 
È una poesia, la sua, fatta  di introiezioni e di esteriorizzazioni; è una poesia che galleggia nel magma esistenziale che lo caratterizza.

Moderna e antica nei contenuti così come nel linguaggio e nell’incedere. La sua è una ricerca incessante di conferme, di stabilità nell’instabilità con quel «rapido bagliore dell’eterno» (Bagliori) che occhieggia qua  e là come il fuoco di Prometeo che sempre deve rimanere vivo .
Una  figura femminile ricorre, così come nella precedente silloge. È, come fa notare Daniele Giancane, quasi un’interlocutrice assidua, in una sorta di “tendenza dialogante” che si concretizza in un proliferare di  immagini, spesso tra loro slegate, ma che sono segni di energia e  vitalità. 
Io preferisco gli spazi aperti, i silenzi che parlano, i non detti, la poesia che allude e scatena le acrobazie della mente.

Nella sezione SONETTI CLAUDICANTI, la poesia di apertura (La cattiva preghiera), è ricca di richiami petrarcheschi, ma non solo. Qui è molto presente il senso della morte e del dolore come sofferenza fisica (Paralitiche immagini) così come il gioco dei contrasti di colore: bianco, nero, bianco come neve, nero come inchiostro, neve  (In queste lande).
Dante, Lorca, Whitman, Petrarca, D’Annunzio, Montale: nessuno si salva. Ci sono tutti, i grandi, così come Leonardo e Chagall, Bennato per quanto riguarda l’arte e la musica, con una certa predilezione per il  tango.
L’ultima sezione, dal titolo CAPITANO, QUEL CAPITANO, è ricca di  richiami  alle cronache  d’oltre Oceano, ma anche dell’Europa (Vlora, Cantami Sarajevo).

Il ricorso al MITO e anche alla religione  è un po’ ovunque e ci conferma che il poeta non rinuncia alle sue àncore o comunque alle possibilità che esse rappresentano, siano esse  sacre che profane (Se non mi attorni, Hybris).
È una poesia ricca di pathos con quel suo vorticare senza sosta che porta il poeta ad autocompiacersi  e a flagellarsi  in una sorta di cercata voluptas dolendi, ma che  riesce anche a raggiungere una certa levità con quel versificare che si allunga e si contrae. 
È una poesia cangiante e la chiusa In filigrana non fa che confermare questa impressione.

Giulia Notarangelo





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