Leggendo e rileggendo le «Lettere dagli Argonauti» di Marco Ignazio de Santis

Una "puntata speciale" questo post dal momento che non si tratta certo di una "ultima uscita" quanto piuttosto di uno dei libri che ha il suo posto particolare fra gli scaffali di poesia della mia biblioteca, devo confessarlo! Pubblicato da Marco Ignazio de Santis nel 2007 (La Vallisa, Bari) lo leggo e lo rileggo continuamente già da prima di conoscere personalmente il suo autore e averne il privilegio dell'amicizia personale. 

M. I. DE SANTIS, Lettere dagli Argonauti, Edizioni La Vallisa, Bari 2007


E siccome c'é sempre tempo per pensare a 𝗿𝗲𝗴𝗮𝗹𝗮𝗿𝗲 𝗲 𝗿𝗲𝗴𝗮𝗹𝗮𝗿𝘀𝗶 𝘂𝗻 𝗯𝘂𝗼𝗻 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼, non posso esimermi dal consigliare queste 𝙇𝙚𝙩𝙩𝙚𝙧𝙚 𝙙𝙖𝙜𝙡𝙞 𝘼𝙧𝙜𝙤𝙣𝙖𝙪𝙩𝙞 per la prossima calza, o qualunque sia la ricorrenza alla quale la si voglia legare, soprattutto a chi abbia davvero voglia di "annegare" in una poesia così profonda e "pressurizzante" come quella proposta dall'autore in questa silloge. Mutuo l'aggettivo "profondo" da 𝗚𝗶𝗼𝗿𝗴𝗶𝗼 𝗕𝗮𝗿𝗯𝗲𝗿𝗶 𝗦𝗾𝘂𝗮𝗿𝗼𝘁𝘁𝗶 che, commentando questa raccolta, parlava di liriche «intensissime, profonde e tese all'estrema verità» in un percorso o, meglio, in un viaggio nel quale l'autore «sa rinnovare mirabilmente le immagini dei miti nella più drammatica attualità». 

𝘕𝘦 𝘢𝘣𝘣𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘧𝘢𝘵𝘵𝘢 𝘥𝘪 𝘴𝘵𝘳𝘢𝘥𝘢, 𝘤𝘢𝘳𝘪 𝘢𝘮𝘪𝘤𝘪,
𝘪𝘯𝘴𝘪𝘦𝘮𝘦, 𝘮𝘢 𝘯𝘰𝘯 𝘴𝘰 𝘥𝘪𝘳𝘦 𝘴𝘦 𝘨𝘭𝘪 𝘢𝘯𝘯𝘪
𝘴𝘪𝘢𝘯𝘰 𝘴𝘵𝘢𝘵𝘪 𝘣𝘦𝘯𝘪𝘨𝘯𝘪 𝘤𝘰𝘯 𝘭𝘦 𝘯𝘰𝘴𝘵𝘳𝘦 𝘴𝘱𝘦𝘳𝘢𝘯𝘻𝘦

E più che il mito, a cui il titolo rimanda così chiaramente, e l'affascinante associazione dei protagonisti con i dedicatari di tante liriche che paiono ribattezzare gli argonauti con i nomi di un'esperienza spazio-temporale affatto vissuta e contemporanea (già questa, di per sé, meravigliosa e ardimentosa costruzione lirica ed esperienziale, poetica e umana), è in quel complemento d'agente che sembra concentrarsi il senso profondo della silloge: le lettere sono DAGLI e non DEGLI argonauti. Gli argonauti sono in pieno viaggio!

«La mediterraneità - come si legge nella motivazione del Primo Premio Cànepa 2008 - è concepita come categoria esistenziale ed estetica, capace di generare miti o riti antropologicamente vitali» al punto, forse, da non sbagliare nel riuscire a fare della poesia stessa il vello d'oro dell'ambita conquista; ambizione e speranza di guarire ogni ferita che popola il panorama della contemporaneità nella quale l'antico mito è ricalato da de Santis.

𝘐𝘰 𝘯𝘰𝘯 𝘴𝘰 𝘥𝘪 𝘤𝘦𝘭𝘦𝘴𝘵𝘪𝘢𝘭𝘪 𝘪𝘯𝘤𝘢𝘯𝘵𝘪,
𝘷𝘦𝘥𝘰 𝘴𝘰𝘭𝘰 𝘭𝘦 𝘮𝘢𝘤𝘦𝘳𝘪𝘦 𝘥𝘦𝘭 𝘮𝘰𝘯𝘥𝘰
𝘥𝘰𝘷𝘦 𝘣𝘢𝘵𝘵𝘦 𝘪𝘭 𝘱𝘭𝘦𝘵𝘵𝘳𝘰 𝘥𝘦𝘭 𝘵𝘦𝘮𝘱𝘰 

dirà nella poesia 𝘊𝘢𝘳𝘪 𝘢𝘮𝘪𝘤𝘪, 𝘯𝘰𝘯 𝘴𝘰, contenuta nella successiva raccolta 𝘿𝙖𝙡 𝙨𝙖𝙣𝙩𝙪𝙖𝙧𝙞𝙤 (Helicon Edizioni, 2014), quasi ideale prosecuzione della temperie lirica e umana degli 𝘈𝘳𝘨𝘰𝘯𝘢𝘶𝘵𝘪. E ancora un altro complemento d'agente. Anzi, meglio, di luogo. 𝘓𝘦𝘵𝘵𝘦𝘳𝘦 𝘥𝘢𝘨𝘭𝘪 𝘈𝘳𝘨𝘰𝘯𝘢𝘶𝘵𝘪 che non a caso si aprono con una appassionata invocazione, una sorta di atto di scuse - quasi come a una 𝘶𝘯𝘢 𝘮𝘰𝘨𝘭𝘪𝘦 𝘯𝘦𝘨𝘭𝘦𝘵𝘵𝘢 𝘦 𝘪𝘯𝘯𝘢𝘮𝘰𝘳𝘢𝘵𝘢 - proprio alla poesia-vello con 𝘙𝘪𝘮𝘰𝘳𝘴𝘰 che qui riporto anche in un'inedita traduzione spagnola:

RIMORSO
 
Mi disperdo fra articoli e saggi
e, come sempre, maltratto la poesia.
Lei sta seduta lì, in un angolo,
come una moglie negletta e innamorata. 
 
Silenziosa, mi fissa con dolcissimi occhi,
viso d'alabastro e pelle profumata,
riandando con lo sguardo
ai giorni dell'amore. 
 
O bella mia speranza,
dove fu che ti lasciai,
Per consumarmi la vita
tra vecchie carte
di storie minime e sepolte?
Come fu che ti lasciai
nella gelida bruma
Delle dissolte illusioni? 
 
Ora dammi la mano,
e sulle palpebre chiuse
ad alitarmi vieni
le più eteree visioni. 
 
Abbracciami, col caldo del tuo corpo,
e sciogli la nebbia fredda del distacco
con petali di fuoco e di luce
e una ghirlanda di sogni
per sempre.

 

REMORDIMIENTO 
 
Entre artículos y ensayos me disipo
y, como siempre, maltrato la poesía.
Está sentada allí, en una esquina,
como una esposa descuidada y enamorada. 
 
Con ojos dulces, silenciosa, me mira,
piel profumada y rostro de alabastro,
volviendo la mirada
a los dias del amor. 
 
Oh mi esperanza linda,
¿donde fué que te dejé,
para consumir mi vida
entre los viejos papeles
de historias mínimas y enterradas?
¿Como fué que te dejé,
en la bruma congelada
de disueltas ilusiones? 
 
Dame tu mano ahora
y en los párpados cerrados
ven y respirame encima
las visiones más etéreas. 
 
Abrázame, con el calor de tu cuerpo,
y derrite la niebla fría del desapego
con pétalos de fuego y luz
y una corona de sueños
para siempre.

Già Daniele Giancane in una nota critica alla poesia di Marco I. de Santis presente in appendice agli stessi Argonauti (p. 69), sottolinenando la pregevole fattura del linguaggio desantisiano come caratteristica precipua di quello che definisce il suo "canto alto", ne evidenziava una sorta di «rattenuto poetare, giacché il sentimento non si slarga mai fino a divenire retorico o pletorico. Il poeta riesce a far trapelare le emozioni senza annegarvisi ma mantenendo una sorta di "distanziamento" dall'oggetto che entra nel suo mondo». Eppure non mi pare qui il centro focale di questa poesia. Per dirla con Giancane in sintesi: vero è che «riesce a far trapelare le emozioni senza annegarvisi» ma è altrettanto vero che riesce perfettamente quanto sommessamente a farvi annegare il lettore. E questo è straordinario in quanto a capacità di coinvolgimento di un testo che è - evidentemente - mai impulsivo né di getto ma profondamente meditato, certosino e finemente cesellato grazie anche al ricorso a lemmi ricercati e sempre più spinti alla radice significante della parola quasi a indagarne nell'origine il significato profondo e recondito, l'ampliamento del senso. È sufficiente anche solo sbirciare la bibliografia dell'autore per rendersi conto di quanto fondamentale sia questo passaggio anche nella traslazione alla composizione lirica.

Quella peculiarità giustamente ravvisata da Giancane già a proposito di Libro Mastro e di tutta la successiva produzione di de Santis, sembra trovare qui (e per ampliamento e progresso anche nel successivo Dal Santuario) più raffinata definizione e una raggiunta "oggettività" di pensiero che, se da un lato garantisce quella "distanza" «dall'oggetto che entra nel suo mondo», dall'altro traduce la lettura in un'esperienza direi quasi fisica, benché discreta e mai invasiva se non nel lento "nulla osta" alla mano "subdola" della Poesia che entra dentro, nello stomaco, sottilmente, costringendo il lettore a tradurre l'oggettivizzazione dell'esercizio intellettuale dell'autore, proiettandola sull'arco temporale delle proprie esperienze e sul segmento spaziale della propria storia.

Ognuno col suo viaggio da affrontare, ciascuno con i mali da curare, propri o condivisi, tutti alla fine risultiamo un po' Argonauti; tutti aneliamo al vello d'oro. Eppure non è questa poesia per tutti. Non di prorompente immediatezza di fruizione, non ne è completamente priva ma non è qui la sua sfumatura migliore. La ricercatezza del linguaggio, pur declinata in una alta colloquialità, ne esalta la profondità senza alcun vezzeggiante minimalismo di facciata. Ma è necessario non lasciarsi ingannare da quella colloquialità che è materia di un linguaggio al quale accostarsi con armi affilate e bagagli ben assortiti.
È una poesia ricchissima di stimoli ed estremamente raffinata nella discrezione della sollecitazione esperienziale. È altissimo il coinvolgimento a cui viene chiamato e invitato il lettore e non lascia mezze misure di compromesso. Bisogna entrarci e starci per tanto e per bene fra questi versi perché pare che alla sedimentazione della loro genesi debba fare da contrappeso la "devastazione" dell'anima di chi legge.

LA BANDERUOLA 
 
Dente amaro, cuore avvelenato,
sto sulla tolda della terrazza,
in esilio da questo vivere opaco,
risucchiato nel precipizio vesperale,
nel cielo rutilante e lascivo. 
 
Cerco un segnale tàntrico, un cenno,
un'illibata delizia o forse
un nottivago indizio d'amore,
che mi ristori un poco
dall'orrore astruso del mondo. 
 
Ma quando cala la tela del buio,
cessa ogni moto convulso
nell'affollato teatro della vita
e muore il frastuono del pianeta
nella siderea rapina del vento. 
 
Solo allora il mio sguardo si desta
al cigolio inquietante sul tetto
della ruotante banderuola. 
 
Sobbalzo, ma poi s'accende la luna
e cedo all'alitare della notte
sulle dolci altane incalcinate.

E in questo reciproco scambio d'amorosi sensi si sprigiona la forza trattenuta di una poesia evocativa per vocazione e condivisa per traduzione lirica annullando o, meglio, contestualizzando una esclusività che parrebbe connaturata in questi versi ma che alla fin fine non è che il primo passo verso il più serio degli inviti, la più alta delle lezioni: evitare la rapida superficialità del "mordi e fuggi" a buon prezzo per rimanere nell'osservazione profonda dell'esistente. Fino a farla - non senza sforzo e impegno - propria.
Tanto propria da divenire risorsa e bagaglio necessari per il più importante dei viaggi, alla ricerca di ciò che va messo «a guardia e a difesa delle verità profonde dell’uomo contro l’insensatezza del mondo» (R. Ricchi). Eccoli gli Argonauti di de Santis!

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MARCO IGNAZIO DE SANTIS
già docente di lettere nel Liceo linguistico e pedagogico “Vito Fornari”, è nato a Molfetta nel 1951. È redattore del semestrale letterario “La Vallisa” e collabora a “Rivista italiana di letteratura dialettale”, “Misure critiche”, “Vernice”, “La Nuova Tribuna Letteraria”, “Alba Pratalia”, “I fiori del male”, “Rivista di scienze religiose”, “Risorgimento e Mezzogiorno” ecc. Ha diretto le riviste “Studi Molfettesi” (1996-2000) e “Report” (2005-2009).
Tra i riconoscimenti ricevuti figurano il Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio per il 1986, il Premio “Umberto Saba” nel 1989 per la raccolta Uomini di sempre, il Premio “Renata Cànepa” nel 2008 per la silloge Lettere dagli argonauti, il Fiorino d’Oro per la saggistica al XXIX Premio Firenze nel 2011 per la biografia Un amico di Garibaldi: Eliodoro Spech, cantante, patriota e soldato e il Premio speciale della critica “Thesaurus” per «Vaghe stelle» e altri racconti. Giornalista pubblicista iscritto all’albo, ha scritto centinaia di elzeviri e pezzi culturali su quotidiani italiani e svizzeri.
Alcuni suoi articoli, racconti e poesie sono stati tradotti in serbo, croato, spagnolo, albanese, sloveno, francese, inglese, latino, polacco e russo. Nel settembre-ottobre del 2006 ha partecipato, come autore italiano invitato, al 43° International Meeting of Writers di Belgrado.
Tra le massime autorità internazionali in materia di Studi Salveminiani, ha recentemente dato alle stampe la sua nuova opera di critica letteraria Pirandello, Chiarelli, Montale, Comi, Bodini e altri autori del ’900, Genesi editrice 2023.

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Richiedi la tua copia di M. I. DE SANTIS, 𝙇𝙚𝙩𝙩𝙚𝙧𝙚 𝙙𝙖𝙜𝙡𝙞 𝘼𝙧𝙜𝙤𝙣𝙖𝙪𝙩𝙞, Edizioni La Vallisa, Bari 2007 𝗴𝗿𝗮𝘁𝘂𝗶𝘁𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 (per gentile concessione dell'autore) inviandomi un messaggio in privato. 

Visita il sito di Marco Ignazio de Santis

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