Poesia femminile singolare: la Cerimonia di Proclamazione dei vincitori dell'Evento Poetico online.

Si è tenuta ieri, 13 febbraio 2023 la Cerimonia di Proclamazione dei vincitori dell'Evento Poetico online 𝗣𝗼𝗲𝘀𝗶𝗮 𝗳𝗲𝗺𝗺𝗶𝗻𝗶𝗹𝗲 𝘀𝗶𝗻𝗴𝗼𝗹𝗮𝗿𝗲. Un autentico piacere aver fatto parte della giuria insieme a Lucia Lo Bianco ed Elena Giacomin con l'infaticabile Domenico Faniello che ringrazio per la convocazione. 

Guarda il video dell'evento qui: 
https://www.facebook.com/poesiafemminilesingolare/videos/564367789065500


Di seguito alcune poesie che avuto modo e piacere di approfondire, con qualche appunto in proposito:

AMORE È SEMPRE AMORE
di Claudia Palombi
1° classificata SEZIONE B

Amore nonna, vecchio legno
di albero un tempo frondoso
sotto cui riparammo turbe
e sgomenti. Mai fu tarlato.
Schiantò per il troppo abbracciare
con l’urlo acuto della fibra forte
quando s’arrende e cede.
Amore nonno, nel silenzio
di orchestra che suonava dentro
bacchette eleganti le dita
su tasti visibili al buio.
Mai stridore, solo sorriso.
Scivolò sui ghiacci d’oltralpe
gemeva leggero un violino.
Amore padre, flesso giunco
canna da modulare al vento
fascino di cantore e rete
groviglio in gola a gorgogliare.
Colse le stelle a mani piene
di quelle c’indicò la luce
rifranto frammento divino.
Amore madre, legno e giunco
suono e canto, sirena in voce
nello sguardo malia e scudo
difese i figli a lampi e dardi.
Acqua nel teatro di vita
fluì e lasciò in dono l’arte
sua, del dolore incantatrice.

Affascina in questa lirica la convivenza ben coniugata fra una densa tenerezza di fondo – sia di sentimenti che di intenti – e una forza spinta delle immagini elaborate («mai fu tarlato»; «schiantò per il troppo abbracciare»…) non senza uno sforzo di musicalità ben articolato in alcuni distici particolarmente fluidi: «bacchette eleganti le dita / su tasti visibili al buio»). Il ritmo generale del componimento gode di pause ben collocate sebbene talvolta soffra di cesure secche che tuttavia non compromettono mai l’andamento della poesia. Nella ricerca lessicale si esprime, invece, l’ambizione lirica migliore che si affida a immagini originali e mai banali tutte proiettate a una struttura generale ben congeniata.

È l’amore universale il nucleo della lirica, quello in grado di superare il tempo, le stagioni e le generazioni e nel titolo la poetessa sembra voler sottolineare con decisione l’esistenza delle mille sfumature dell’amore che prova a dipingere affidandole al microcosmo dei rapporti familiari attraverso una struttura chiastica particolarmente interessante che al contenuto appena indicato affianca anche il sentimento del tempo, quasi a voler stabilire e definire quel SEMPRE del titolo attraverso il procedere per generazioni che non a caso si affida alla presenza di genitori e nonni. Interessante la struttura a strofe affidata ciascuna ad ognuno di loro, secondo un percorso generazionale discendente, dai nonni al padre e alla madre, ognuno dei quali identificato e associato ad elementi sensoriali, tattili e uditivi, per cui la nonna in primis è «urlo acuto» e così a seguire il nonno è «silenzio d'orchestra», il padre «fascino di cantore» e infine la madre «suono e canto, sirena in voce». E da lì a risalire da «legno e giunco» a «flesso giunco di canna»; da «bacchette eleganti di dita» a «vecchio legno / di albero un tempo frondoso». E alla musicalità prodotta dal verso attento a metro e ritmo si affianca quella evocata dal contenuto di cui ciascun protagonista si fa portatore allegorico: ottimo escamotage che finisce per crearne quasi melodia. 

* * *

ASSOLATO SUD
di Teresa Lomastro
3° classificata SEZIONE A

Di questo sud i volti rugosi
arsi al sole,
le mani callose intrise di terra,
il lavoro nero nelle assolate
campagne del caporalato.
Di questo sud le radici nel cuore
ove cornici sono emozioni,
dei muretti a secco l'ombra.
Frusta il sole l teste chine
di contadine affaticate.
Di questo sud lacrime di mamma
squarciate vite,
in un nord lontani figli
dove il dolore non fa domande.
Sguardi lucidi di padri
nel seminato sud,
sotto lunare manto.

Ben costruito l'andamento ritmico che si apre, per almeno i primi sei versi, con una alternata accentazione alla seconda che lo rende ben cadenzato e sostenuto e procede via via rilassandosi in una fluidità più distesa che conduce lentamente all'immagine del notturno finale. I costrutti lessicali talvolta si fanno audaci e l'apporto lirico è spesso affidato all'anticipazione dell'aggettivo rispetto al sostantivo (assolate campagne; lontani figli; squarciate vite; seminato sud; lunare manto) ma non tralascia la possibilità di un raffronto coi più riusciti «volti rugosi», «mani callose», «lavoro nero», «contadine affaticate». Bisognerà aspettare il terzo capoverso prima di incontrare un verbo reggente (frustare) fino a quel momento sottinteso nell'ellissi delle prime due strofe. 

La lirica guarda al sud rimodulando la retorica meridionalistica attraverso due canali: un tentativo di ricostituzione lirica degli elementi di quella stessa retorica (teste chine, muretti a secco, radici, oltre alle precedenti citazioni) e una sfumatura sociale assolutamente appropriata che passa dal caporalato e arriva alle migrazioni a nord dei giovani lasciando nelle donne e nelle madri l'espressione del dolore nel silenzio di «teste chine», appunto, ormai quasi inermi rispetto a un destino pressoché abbracciato: splendida la sintesi nell'immagine del dolore che «non fa domande» e davvero prezioso l'ultimo aggettivo della lirica: il sud, grazie alla fatica dei padri disillusi e lucidi, resta «seminato». Una commovente nota di speranza che apre la strada a possibilità di nuovi germogli non appena la luna avrà ceduto il passo al giorno nuovo. Sebbene infatti l'ultimo paesaggio sia notturno e lunare, resta «assolato» il sud nel titolo: è il giorno che verrà quello che interessa.

* * *

SONO DI PIETRA
di Patrizia Amalfi
Menzione d'Onore SEZIONE A

Riconosco i suoni della quiete
e le voci argentine che bucano il tempo,
non chiedo e sbaglio direzione.
Come vortice s’avvitano i miei anni
legati ai bottoni
ai lacci delle scarpe
allo scialle fatto a mano
per i giorni di primavera
quando si usciva in fretta
e si tornava tardi
ubriachi di vita.
Cerco e scavo a mani nude,
assetata di benevolenza
lascio che le dita interrate
sfiniscano l’eco
di un rintocco di vita
depositato nel labirinto del cuore.
Eppure
da lontano
un vento insolente
solleva il velo dal petto
a mostrare i miei occhi di pietra
impigliati ai rovi del passato.
Del senso e del nonsenso
raccatto gli estremi tentativi
di una ragione che non ha più ragione.
Ed è silenzio

Convincente struttura ritmica e sonora che dona al verso una musicalità naturale ben armonizzata attraverso il sapiente uso di assonanze, allitterazioni e richiami fonetici sparsi (vortice / s’avvitano; lacci / scialle / usciva ecc…). Anche sul piano ritmico, il metro dominante dell’incipit, non abusato in modo regolare e iterativo, viene contratto ed esteso intelligentemente alternandolo al verso ipermetro o ipometro a seconda di quanto detti la scala emotiva, in crescendo o in decrescendo, fino alla soluzione in cesure ritmiche che favoriscono una pausa riflessiva necessaria, visto anche il fascino del tema affrontato (Eppure / da lontano / un vento insolente / solleva il velo dal petto / a mostrare i miei occhi di pietra / impigliati ai rovi del passato).

Una certa originalità di immagini (gli ultimi due versi appena citati, per esempio, come anche: lascio che le dita interrate / sfiniscano l’eco / di un rintocco di vita) ben si coniugano ed anzi esaltano non tanto e non solo la percezione e il senso del tempo nel suo scorrere quanto su ciò che resta dopo che è già passato. È attorno a quel momento che si snoda e si costruisce l’intero componimento che non a caso nel titolo SONO DI PIETRA, sancisce ormai uno status quo la cui chiave di lettura è tutta nel recupero del mito: nel solco della tradizione occidentale rispetto al sentimento del tempo, la poetessa fa un passo in avanti stabilendo la condizione acquisita di chi si guarda indietro o di chi ha ardito guardare negli occhi la Gorgone. Nel tentativo di cercare una ragione al senso e al nonsenso, per usare le sue stesse parole, è inevitabile “voltarsi indietro”, come nel mito di Orfeo, e con il sapiente uso del verbo “raccattare” la poetessa sintetizza e descrive un paesaggio emotivo a cui non è lasciata alcuna opzione se non, appunto, restare di pietra. 

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