Giudizi Critici a «Contraddizioni», II edizione 2021



Dalle Contraddizioni a Carne e Sangue


Vito Davoli decide di ridare alle stampe la sua opera prima che dà titolo alla trilogia, Contraddizioni, a distanza di vent’anni dalla sua prima uscita e degna di nota per i notevoli apprezzamenti riscossi soprattutto da parte della critica locale e nazionale.
Ristampare dopo vent’anni un primo volume a ridosso della pubblicazione del secondo è per l’autore una sorta di riannodare i fili di un discorso quasi lasciato a metà ma rimasto lì a fermentare e quasi chiedere di uscire allo scoperto. «Certo, è “solo” un libro – dichiara l’autore con una punta di ironia – e di poesie, per giunta! Non è un concerto dei Pink Floyd: non è che ci sia una folla fremente ai cancelli o in attesa dell’uscita del nuovo album. Lo faccio per me – continua sorridendo – per una esigenza di comunicabilità e comunicazione il più chiare possibili e, per la stessa ragione, anche per quei pochi che a suo tempo hanno dedicato alcuni istanti per leggerlo e apprezzarlo».

È un testo infatti che già Marco Ignazio de Santis nella prefazione alla seconda edizione identifica come «interessante e sapido, tanto nei movimenti più distesi, quanto nei guizzi aforistici più rapidi e concentrati». E’ alla parola, infatti, alla sua spasmodica ricerca e al suo utilizzo originale che Vito Davoli affida la riflessione filosofica ed emotiva ed è una parola e un verso, quello tipico di questa raccolta, tanto più complesso quanto più arduo e profondo si fa lo scandaglio esistenziale nel quale si avventura l’autore. È Giorgio Barberi Squarotti a sottolineare come «il discorso poetico è ricco e complesso, a tratti difficile» ma «sempre persuasivo per originalità e invenzione». Un testo che nella sua avventura metafisica si nutre di quanto di più concreto l’osservazione della realtà possa offrire all’autore tanto nelle immagini significanti quanto negli sviluppi e nelle correlazioni dei significati. Sposta così una chiave squisitamente letteraria e linguistica, quella semantica, dal suo piano originale a quello immaginifico e del suo potere evocativo, in questo modo consentendo alle stesse parole di ereditare quello stesso potere evocativo facendosi tramite comunicativo fra l’esperienza in quanto tale e il lettore che in questo modo ne è posto di fronte quasi senza il filtro stesso dell’autore. La presenza dell’ io poetante non intacca minimamente questa operazione mantenendosi sul piano, spesso topico, della riflessione individuale che si fa collettiva per la condivisione delle esperienze. Così la forza di questo testo sta nel tentativo di dare la parola, e la parola giusta, a ciò che tutti conosciamo per averlo vissuto e pertanto più disposti non solo a fare proprio il racconto poetico della silloge ma soprattutto a comprenderlo. E’ «densamente coinvolgente e originale – sostiene Fabio Dainotti – e (…) portatore di un senso nuovo e di una nuova spaziotemporalità».

Nelle evoluzioni più riuscite la poetica si fa stimolante negli intenti e raffinata nella forma: è un’indagine sull’umano, sui suoi percorsi, diremmo più prosaicamente sul senso della vita nella consapevolezza che un viaggio di questa natura ed entità non possa non tenere presenti due aspetti fondamentali della natura umana e generale: le contraddizioni, appunto, e l’incomunicabilità o per lo meno le difficoltà comunicative. ««Ho letto volentieri le “Contraddizioni” che sono, appunto, proprio contraddizioni, a mio avviso, sia chiaro, in termini positivi: ovvero le contraddizioni del sapere usare come pochi (e quindi preziosi) la lingua italiana, con grande rispetto di scelte verbali e costruzioni, e nel contempo essere uomo del nostro tempo, abitatore di una realtà e di un tempo nei quali l’uomo è molto poco» (Mauro Dentone).
È il primo dei due aspetti quello che qui viene elaborato e sviscerato fino a farlo diventare un gioco: «mi catapulto nel gioco delle contraddizioni»; sebbene cenni e rimandi del secondo si trovino sparsi qua e là nella raccolta, probabilmente semi in attesa di fiorire nel secondo volume. Il cui titolo Carne e Sangue fa pensare anche inevitabilmente ad un ulteriore tratto distintivo già identificato nella prefazione: «La silloge rivela subito un abito riflessivo intessuto di interrogativi, intuizioni e induzioni, una trama meditativa intrisa non solo di razionalità, ma anche di sensualità, gusto coloristico e capacità di sognare» (M. I. De Santis).

Ma se gioco dev’essere non può non passare per il vissuto dell’autore che, più che nel dato esperienziale, è presente nelle scelte metalinguistiche, nei rimandi e nelle citazioni: «Il respiro dei classici greci e romani è quello che si riscontra più frequentemente, da Alceo («Non capisco neppure se il vento che mi soffia tra le dita») a Catullo (Odi et amo) e Virgilio («Vino e formaggio in agri taciturni»), con leggere incursioni anche nella letteratura cristiana di S. Agostino («E vanno gli uomini ad ammirare le alte cime dei monti») e del Cantico dei Cantici («Il tuo corpo ha il colore del mandorlo in fiore») come da subito sostenne il compianto prof. Giovanni De Gennaro leggendo questa poesia» (Florinda Spadavecchia). Ma c’è anche il tango della tradizione, fatto di immagini e ambienti a tinte forti, El dia que me quieras, di sensualità e “peccato”: «quanto pago, signora, un’ora d’amore?» o la poesia “Cornamusa”, giocata con l’evocazione di uno strumento mono-tono e ripetitivo del tutto estraneo a quella tradizione eppure scritta in una metrica perfettamente congruente con il ritmo proprio del tango. E c’è anche l’Arte, quella del ragazzo di Shiele accanto al più noto urlo che qui diviene «il fantasma di Münch» e che si fanno perfino vere e proprie chiavi di lettura della splendida poesia “Madri”.
«Vito Davoli tenta nel miglior modo, quindi, di costruire – come scrive Domenico Cara – il muro della sua salita alle nubi, da dove potrebbe scoprire il cielo, comunque aperto su qualcosa che certo sa in tutto leggere e in tutto scoprire, grazie a una positiva e possibile volontà in potenza!
Intanto il lettore accetta (e segue) la sua ansia che in più parti si fa monologo e in esso esplorazione e rappresentazione globale, mai su sicuro idillio. Impresa non incerta, ripresa come nenia e come racconto che potrebbe stupirci più in là, sebbene «una stagione che finisce / non ti ritrova uguale» (p.55). Ma per la poesia ogni circostanza è diversa anche perché il progress diventa in essa adulto stato di coscienza».

Sergio Magarelli
Dalle Contraddizioni a Carne e Sangue, in L’Altra Molfetta, anno XXXVII,
Molfetta, Giugno 2021, pp.58-59

* * *

LA CONSAPEVOLEZZA DELLE CONTRADDIZIONI E IL «DATARIO CON IN CALCE TRE PUNTINI».

Un nuovo punto di vista sull’opera prima di Vito Davoli a vent’anni dalla sua prima uscita.

A quasi vent’anni dalla sua prima pubblicazione, Vito Davoli decide di rimandare alle stampe la sua prima raccolta di poesie “Contraddizioni” quasi come sollecito alla memoria e preludio a un discorso lasciato a metà: la pubblicazione del secondo volume della trilogia delle Contraddizioni, appunto, di prossima pubblicazione. Un testo che ho profondamente amato giacché il percorso emotivo-esistenziale che Vito Davoli compie nella sua opera “Contraddizioni” sembra finalizzato ad una profonda analisi interiore attraverso la quale il poeta, addentrandosi fin nei più profondi recessi della propria anima («Ecco ora invasa la mia roccaforte fin dentro le segrete»), perviene ad una più precisa consapevolezza di se stesso, della propria arte, del proprio destino («Mi dimeno nel cercare chiarezze e sensi di marcia»). Un itinerario che non riesce o non può percorrere serenamente («Questo mio accavallarmi fragoroso a me stesso») poiché costretto a lasciarsi «dischiuso dopo avermi rovistato incapace di cucirmi», ad intraprendere un dialogo angoscioso con le sue più riposte emozioni («Metto a rischio i miei giorni investendo nell’eternità»), a smarrirsi nelle molteplici sfaccettature del proprio mondo interiore («Convulso gioco di specchi dove mi rifletto ignorando la matrice»).

Scenario ricorrente della riflessione è una stanza, fisicamente presente nella poesia “Al di là dei vetri” come sfondo buio e freddo della “ricerca”, appena rischiarato dal fioco chiarore della luna, appena riscaldato dal lieve tepore di una sigaretta, ma più spesso come elemento quasi in simbiosi con la poesia e il poeta: nido sicuro («La stanza dal balcone apre braccia di culla»), spettatrice partecipe «nell’agone che questa stanza applaude di me contro me stesso», confidente discreta in “Poesia dalla stanza”, bozzolo vuoto di crisalide («Ha pareti sporche e vuote la stanza dove vegeta l’argento antico della coscienza»).

Invece nella poesia “Ha ripreso a scrosciare”, la stanza in cui il poeta ascolta il suono della pioggia assume una connotazione assolutamente simbolica («Non sai neppure se sei nell’anima o nella nube alta») poiché la descrizione è tutta interiore, tanto che la pioggia e il tuono parrebbero in realtà espressione di uno stato d’animo. In questi versi però già i toni sembrano un po’ più sfumati di quelli angosciosi e tormentati di “Così”, “Dal balcone”, “Nel pugno s’incastra”, tranne qualche picco in «un pianto che sbuffa in ire violente» e «io amo sfondare pareti».

Quel «soffio di pace» infatti sembra piuttosto una cupa malinconia che ha il suono della pioggia che cade tranquilla e del rombo lontano del tuono, come una più topica “quiete dopo la tempesta”. Passata la quale («C’è un tuono lontano») l’unico suono percettibile («Lo senti quel suono? C’è un uomo») è la fievole eco dei singhiozzi di un uomo che piange, ma non lacrime di dolore…quelle verrebbe da dire che non sia disposto a piangerle.

Piange piuttosto perché sopraffatto dalle proprie emozioni. Il dolore infatti appare talmente intenso e inconsolabile da non poter essere associato alle lacrime; è invece un dolore che taglia, piaga e strazia, che strappa urla incontrollate e «graffi di rabbia su zolle di terra che il tempo compatta» nonostante tutto e si accompagna a pugni serrati, mascelle contratte, occhi socchiusi, fronte corrugata e labbra che sembrano non conoscere più il sorriso («Hai perso i petali profumati dei colori del sorriso, le fossette sulle guance dell’estate»).

Le ragioni del dolore affondano le proprie radici in un remoto passato che «torna senza mai essere più che sagoma scura», riaffiora in forma di ricordo o rimpianto («La memoria è una dolce sapida bugia. Sprofondo fra le rughe di una scottatura»; «Il ricordo è un viaggio senza tempo che forza confini assoluti fino a dismemorare»), funge talvolta da elemento destabilizzante («E questo senso continuo di frana non lo vedi riflesso nello specchio alle tue spalle»; «Mi dimeno nel cercare chiarezze e sensi di marcia»). E qui diventa difficile non associare quest’impianto emozionale alla lettura della bellissima “Madri” che pare racchiudere in sé tanto il senso del percorso quanto lo scandaglio preciso delle stagioni del vissuto fino a perdersi nel finale «datario con in calce tre puntini…».

Non trascurabile nell’opera poetica del Davoli è certamente non soltanto il proprio bagaglio emotivo, ma anche quello culturale, fortemente radicato tanto negli studi classici compiuti, quanto nei propri interessi personali. Tutto ciò si esprime non soltanto sotto forma di ispirazione, ma a volte di vera e propria citazione. Il respiro dei classici greci e romani è quello che si riscontra più frequentemente, da Alceo («Non capisco neppure se il vento che mi soffia tra le dita») a Catullo (Odi et amo) e Virgilio («Vino e formaggio in agri taciturni»), con leggere incursioni anche nella letteratura cristiana di S. Agostino (E vanno gli uomini ad ammirare le alte cime dei monti) e del Cantico dei Cantici («Il tuo corpo ha il colore del mandorlo in fiore») come sosteneva il prof. Giovanni De Gennaro leggendo questa poesia.

La trama meditativa della raccolta rivela una personalità permeata non soltanto di razionalità ma di una non comune sensibilità, in cui un sentire oserei dire “femminile”, quella che il poeta stesso definisce «sensibilità del fiore», interseca, alternandosi e fondendosi, una sensualità più “mascolina”.

È questo in ogni modo il mondo emotivo in cui il poeta deve percorrere il cammino della propria esistenza, che si articola in una linea immaginaria che partendo da «Coltivo l’illusione che il mondo aspetti me» arriva a «Non ho memorie di sentieri scelti: solo di scorciatoie da spianare tirando erbacce al dorso dei ciglioni», per poi finire a «Il re sepolto si stringe al suo corredo di memorie» e «Io mi rivolterei tra polveri divine se potessi, ma il fango mi è più congeniale». Verrebbe da chiedersi quale sia il senso di questo percorso cielo-terra tra cui si frappone l’immagine di un destino già segnato. È un continuo anelito ad una vita non comune («Le bave scarlatte di ambizione»), la consapevolezza di enormi quanto fragili potenzialità («Voglio»), la possibilità di percorrere ad ali spiegate immensi spazi. Tuttavia non scompare mai la presenza di un intoppo, un ostacolo indefinito, qualcosa o qualcuno che sembra tarpare quelle ali con ineluttabile efficacia e allora non rimane che continuare a batterle inutilmente così, soltanto per conservare l’illusione del volo, oppure continuare a correre convinti di scalare montagne per poi scoprirsi sempre ai loro piedi. Talvolta però sono fattori autolimitanti ad impedire la salita («Troppo estesi i miei sentieri pianeggianti», «Se solo potessimo arrancare per la via neppure più tortuosa»).

Non è presente però in tutta l’opera alcuna intenzione di resa o sconfitta; battaglia sì, «agone che questa stanza applaude di me contro me stesso, quello del mondo fuori contro quello della stanza».

«La falce acuminata che stuzzica le piaghe sanguinanti dei ricordi» non impedisce di ricordare; «la lama arroventata che sfodera sottile la pelle vergine delle speranze» non impedisce di coltivare la speranza; la sensazione di frana non impedisce di «credere davvero che esista una vittoria», anche dalla terra è possibile desiderare di raggiungere il cielo, si può urlare anche in silenzio, amare anche nell’odio, salire per poi precipitare. «Mi racconto nel gioco delle montagne russe…»: che non risieda forse proprio qui il “gioco delle contraddizioni”?

Florinda Spadavecchia

Edito in La Vallisa, XXXIX, n.116 (Bari, Gennaio-Giugno 2021), pp. 96-98


* * *

Poesie di Vito Davoli

Nel mistero di questa enorme confusione che gira intorno alla poesia, c'è sempre una voce, una intensità diversa che continua ad affascinare. Se da una parte leggiamo di diari personale che più hanno a che fare con la prosa prosa, dall'altro ci sono alcuni che mostrano chiaramente i segni d'una forte passione che travolge e incombe sulla vita, talmente forte da entrare con forza nelle vite altrui. 

Spesso accade a chi si forma, si misura e confronta con i molti autori che ci hanno preceduti, sentendosi perlopiù sperduto e inadeguato. Così soltanto può dirsi poesia quel guardare vedendo oltre, avendo  una visione del dramma che affligge - da sempre - l'intera umanità, visto da pochi meno distratti da fuochi d'artificio e abbellimenti che costantemente cercano di coprirlo.

È questo il compito del poeta? forse sì o, almeno, così pensano in molti ma, in realtà è il dramma di chi scrive poesie non per casualità. L'osservare senza poter far nulla per modificare ciò che vorrebbe, ritenuto, per lui almeno, ingiusto. Mentre vive una vita in apparenza normale, il tumulto interiore tenta di trasformarsi in parole scritte, unica possibile arma posseduta o, almeno legalmente consentita. Vito Davoli in questo riesce senza dubbio ma, forse, come alcuni dicono, è una magra consolazione frapponendosi a una vita sicuramente un po' più felice.

Non essendo affatto un critico lascio spazio alla voce del poeta con  alcune poesie tratte da Carne e sangue, (non ancora edito) e Contraddizioni (edito da Leucò nel 2001).

Beppe Costa

Edito su Beppe Costa Blog del 27/12/2021
https://beppe-costa.blogspot.com/2021/12/vito-davoli-poesie.html


* * * 

La poetica di Vito Davoli è lo specchio di un'anima limpida che prende le distanze dagli stereotipi, nauseabondi, di una cultura già scontata e di convenienza. L' autore non si allinea, è una voce fuori dal coro, a volte densa, a volte liquida, carica di pathos e di sentimenti che lasciano tradire un'emozione tipica delle persone alte e sensibili.

Francesco Galasso


Altre letture




Post popolari in questo blog

𝙉𝙤𝙩𝙩𝙞𝙡𝙪𝙘𝙚𝙣𝙩𝙚, la nuova silloge di Marta Maria Camporale

Due poesie incluse nell'edizione 2023 dell'antologia 𝙏𝙍𝙀𝘾𝙄𝙀𝙈𝘽𝙍𝙀 𝘾𝙤𝙧𝙤 𝙙𝙚 𝙫𝙤𝙘𝙚𝙨 in Spagna

Il giovane poeta molisano Simone Principe leggendo «Carne e sangue»

La poetessa bresciana Daniela Dante leggendo «Carne e sangue», Tabula fati 2022

ANGELA DE LEO legge l'inedito 𝑰𝙣𝒔𝙞𝒆𝙢𝒆