L'intellettuale molfettese Enrico Panunzio nel ricordo del poeta ed editore romano Beppe Costa
Può capitare e capita di sfogliare per caso qualche pagina ricca di pensieri, cesellata in un italiano ricercato e forbito che affascina. Può capitare e capita di imbattersi in qualche poesia strutturata in versi che catturano intimamente. E si è naturalmente portati a chiedersi chi ne sia l’autore. Può capitare e credo capiti piuttosto spesso che un cittadino molfettese, posto di fronte a un testo di Enrico Panunzio, non sappia neppure chi ne sia l’autore. Eppure siamo di fronte a uno dei più illustri personaggi della nostra città il cui contributo alla letteratura italiana non è cosa da poco.
In
un recente saggio di Marco Ignazio de Santis edito sulla prestigiosa rivista
letteraria La Vallisa (n.116 -2021),
lo studioso molfettese dà notizia di una lettera di Gaetano Salvemini a Giacinto
Panunzio, padre di Enrico, nella quale così si congratula per la nascita
del figlio: «Tante, tante congratulazioni
e auguri per l’erede! La vita comincerà ad avere per te un altro significato!
Ricordami alla tua Signora con rispetto».
La
lettura di questi Appunti
biografico-critici di de Santis, a cui si rimanda per una opportuna prima
infarinatura sulla vita e sull’opera di Enrico Panunzio, rivelano, tra le altre
cose, una serie di frequentazioni di Panunzio particolarmente interessanti, soprattutto
nel suo periodo romano «avendo vissuto
Panunzio in anni diversi lungamente a Roma, dove ha frequentato letterati come
lo scrittore Alberto Moravia
(Roma, 1907-1990), il poeta Dario Bellezza
(Roma, 1944-1996), lo scrittore e traduttore di Hugo e Maupassant Mario Picchi (Livorno, 1927 -
Roma, 1996)».
Il
periodo indicato e le illustri personalità citate, sono gli stessi che vedono operare
a Roma una sorta di gruppo, di cenacolo letterario che si raduna attorno alla
storica libreria Pellicano di proprietà del poeta ed editore romano Beppe Costa, autore del best-seller Romanzo siciliano (1984) e di una lunga
serie di sillogi poetiche che arrivano fino ai giorni nostri. L’infaticabile
promotore culturale romano, curatore anche di diverse antologie, è stato pure a
capo della PellicanoLibri, la casa editrice che ha dato alle stampe alcune
opere di quei nomi appena citati e che, attorno alle sue storiche librerie
romane, vedeva radunarsi personalità intellettuali di particolare spicco quali,
oltre ai già citati Moravia, Bellezza, Picchi, anche Anna Maria Ortese, Gabriella
Zappalà, Adele Cambria, Arnoldo Foà, Monica
Vitti, Pino Caruso, Enzo Jannacci, Luce d’Eramo,
Dacia Maraini, Jack Hirschman
(docente
universitario e “maestro” di Jim Morrison), Iosif Brodskij e Mario
Vargas Llosa (poi entrambi premi Nobel per la letteratura) e tanti altri
che qui non continueremo a citare per ovvie ragioni di spazio.
Ecco, questo
l’ambiente e le atmosfere respirate dal nostro Enrico Panunzio nei suoi lunghi
soggiorni romani. Spesso anche ospite, insieme a Dario Bellezza, presso la casa
dell’editore Beppe Costa a conversare di cultura e letteratura.
Abbiamo
così provato a chiedere proprio a Beppe Costa un suo personale ricordo di
Enrico Panunzio e sorprendentemente in rapidissimo tempo e con estrema
gentilezza ci ha inviato uno scritto con il quale si scusa per fare fatica a ricordare
perfettamente ogni episodio ma corredato di inedite foto del Nostro nelle sue
giornate romane.
Un
ritratto sincero, appassionato, umanissimo che riportiamo integralmente insieme
alle foto inedite appena citate.
«Capita a volte che una persona venga definita scostante o burbera, tanto per esser delicati. M’è spesso accaduto, in tanti incontri con personaggi che potremmo definire illustri, di aver saputo che così venivano descritti, vale per Foà, Moravia, Jannacci e che, al contrario, ho sentito semplici, umani, disponibili. Compresi col tempo il perché apparivano – o erano davvero – “insopportabili”. Con Foà e soprattutto con Enrico Panunzio. Si annoiavano di solito in quegli incontri fra artisti dove si parla tanto, troppo, senza dire nulla: discorsi vuoti, ricchi di parole roboanti e metafore vuote. Salotti di ricche contesse, nobili decaduti che amano circondarsi di persone colte.
Ma accade anche che si diventa
insopportabili e si preferisce isolarsi quando le domande che si ricevono sono
assolutamente stupide: Arnoldo Foà fece per andar via durante la trasmissione
di Marzullo, Goliarda Sapienza e Adele Cambria andarono via dal Costanzo Show,
Dario Bellezza dette in testa il microfono ad un agiornalista RAI (ma lui,
pauroso, temette a lungo querele o altre ritorsioni). Sarebbero tanti gli
episodi da ricordare ma, in questo caso, la premessa serve per ricordare Enrico
Panunzio che a lungo frequentai, invitai diverse volte in Calabria e in Sicilia
in occasione di letture di poesie con Dario Bellezza. Mentre a Roma andavamo
spesso a cena nei pressi di via dei Pettinari. Conversazioni piacevoli (perché
in fondo io mi sento più un comico e un intrattenitore più che altro).
Sentivo in lui soprattutto il rammarico di
come il nostro paese trattava la cultura (figuriamo oggi!) e ci raccontava
abbastanza la sua vita parigina: non tanto e non solo per il lavoro in
biblioteca, o a scuola, ma per la straordinaria possibilità di incontri,
solitamente nei bar dove era normale discutere di poesia, libri, musica.
Scoprivo nella persona colta e raffinata una
grande umanità nel preoccuparsi della mia attività editoriale, ne capiva le
difficoltà e, forse per questo, spesso insisteva per pagare cene e benzina.
Sentivo però un peso che difficilmente avrei potuto riuscire a comprendere
allora: la profonda solitudine. Ma non parlava mai di sé, di una qualche
famiglia, amici, nulla!
Non amava molto gli amici che circondavano
Dario. Solo a volte cercava di mettermi sull’avviso riguardo ad alcuni
personaggi (li chiamava “figuri”) che ci circondavano, probabilmente in attesa
o con la speranza di essere pubblicati e di avere successo!
Quindi la gran parte degli incontri furono
proprio in Sicilia (in quegli anni, prima dell’apertura ufficiale della
libreria a Roma, percorrevo spesso la penisola, soprattutto verso sud, ma
fors’anche perché pochi ci invitavano più a nord di Roma). Rimase incantato –
ricordo – soprattutto a Siracusa e fu in quell’occasione che la fece scoprire a
me, siciliano! Ricordo fummo anche a Policoro da Mario Marconato, forse nel 1980 o 81.
Non l’ho visto mai ridere, né stupirsi ma
chiedeva spesso quando ci saremmo potuti rivedere e, soprattutto, viaggiare»
(Beppe Costa).
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