La recensione di Lorenzo Spurio a «Carne e sangue» su Pomezia notizie

Dopo la silloge Contraddizioni (Edizioni Leucò, Molfetta, 2001) il poeta, scrittore e critico letterario pugliese Vito Davoli (è nato a Bari e vive tra Bisceglie e Molfetta) ritorna con una nuova pubblicazione poetica dal titolo Carne e sangue (Tabula Fati, Chieti, 2022). Il volume è prefato da Daniele Giancane che, in pochi righi, ben si approssima alla sensibilità di questa nutrita e densa pubblicazione di poesia.


L’ampia banda di colore rosso profondo disposta in chiave orizzontale nella parte bassa della copertina ben si annoda al titolo del volume che ha a che vedere con la “carne” e il “sangue”, elementi chiave e immagini ricorrenti all’interno del pregiato volume. 

Davoli, che è un apprezzato critico del quale si possono leggere validi contributi sulla nota rivista barese «La Vallisa» con la quale da anni collabora attivamente, ci consegna un volume profondamente intimo, radicato in una sensualità di visioni mai trite e di grande suggestione anche per l’anonimo lettore impostato su di una catartica (e quasi mistica, nel senso di “arcana”) evocazione: «Lo sai che questo è il tempo / in cui meno si parla e più si dice» (46). 

Si affastellano poesie d’amore e di richiami sottaciuti, di corrispondenze parallele e di vera passione, giungendo in alcuni casi al più puro ardore emotivo: «le rapide / rugiade del piacere / e le tue mani candide e cattive / le tue ricerche audaci intimidite» (67). Il verso, pur richiamando un ambito che è quello del sentimento vissuto, del rapporto intimo tra gli amanti (ma anche del pensiero assiduo verso la concretizzazione fisica della relazione amorosa), s’inserisce in quella che potremmo definire una tradizione casta – mai licenziosa – di un dire (di un rivelare) l’erotismo tra desideri malcelati, incontri ardimentosi e fuggiaschi tra esseri legati da un desiderio che è divampante, continuo, che si autoalimenta e cresce ed è in quanto tale reale quanto il foglio di carta che contiene le singole poesie.

Sia detto per inciso – per sfatare un’idea mendace, becera quanto ampiamente diffusa – l’erotico (dal greco erotikos ovvero derivato di Eros, dio dell’amore e dal latino eròticus ovvero “desiderio appassionato” o “desiderio travolgente”) non ha nulla a che spartire con il licenzioso, l’osceno e il pornografico, riferimenti quest’ultimi che – sono certo di credere – nulla hanno da comunicare nella dimensione poetica. 

Il volume è articolato in tre sezioni: la parte eponima “Carne e sangue” che si apre con un esergo tratto dalla (cara a Davoli) Anna Achmatova (citata anche altre volte nel volume); i “Sonetti claudicanti” (dieci testi in tutto) e “Capitano, quel Capitano” di whitmaniana memoria, all’interno del quale troviamo anche un apprezzabile testo storico-sociale, Cantami Sarajevo, dedicato al ricordo della città balcanica negli anni Novanta, doloroso scenario di mirati attacchi bellici e disperazione collettiva per odi esacerbati e recriminazioni politiche e religiose: «tu cantami Sarajevo, / quella di mezzo secolo prima nelle fosse / e cinquant’anni dopo nelle sete / di cravatte severe e banconote effervescenti. / […] / Dio non è che un brandello in coma» (103). Riflessioni sul tempo (e il suo imperterrito fluire) e sul senso della vita non mancano nel volume, ingredienti che danno un tocco filosofico quando non addirittura vagamente enigmatico. 


Davoli colloquia con gli atomi dell’invisibile, pone sfide a limiti, riflette e domanda sé stesso, ce ne rendiamo conto da alcuni versi che, forse più di altri, richiamano l’interesse del lettore per la loro nebulosità e potenza al contempo: «Nessun coccio / s’incastra esattamente con un altro. / Né resta fermo» (11); «Sopra una linea di confine / rientro ed evado / e sono lì finché la vedo» (14); «Il mio tempo è liturgia di segmenti / che serpeggiano eccitati / dai calori e dall’arsura» (21); «Eppure vedo solo se mi tieni la mano / se il tuo soffio mi sussurra l’invisibile» (25). Le tonalità del rosso, a loro volta collegate a immagini-isotopie, metafore e richiami automatici del cuore e del sangue (del suo ribollire) ma anche del fuoco (del suo divampare) si offrono al lettore come un continuum appassionato di travasi, nella poesia, di un’apoteosi intima, di un’esaltazione sensoriale indescrivibile, di un’estasi da puro godimento (dell’atto) e di evasione (nel pensiero). 

 Per tale ragioni crediamo che siamo ben oltre la poesia d’amore comunemente intesa, quella di neoplatonica foggia o di richiamo esaltato a un’utopistica condivisione d’intenti tra gli amanti. Ben oltre. Il poeta è così abile da rendere le trame del sentimento quali fibre del tessuto carnale, i versi si susseguono non con la cadenza neniosa e dolce di una poetica arcadica, ma con il balzo – più o meno sincopato – delle sistole, dell’eccitazione e della successiva euforia. 

Non un canzoniere d’amore, semmai un diario lirico di approcci e godimenti nei cortocircuiti della ragione, lì dove la forza del sangue s’impone decisiva e, come in un richiamo arcaico di difficile origine che non siamo capaci di dominare razionalmente, porta il singolo ad agire animato dalla foga e dal desiderio. Un libro, questo di Davoli, in cui il rosso della passione esorbita dai versi, tra nuances di carminio e porpora, tra squarci di luce che intervengono a rischiarare versi e situare l’io lirico nell’oggettivo contesto abituale e sociale al quale appartiene. 

L’esplosione del rosso è, dopotutto, l’elogio della carne, l’esaltazione di tutto quel che vive e pulsa, ma anche l’ascolto attento e compartecipe del desiderio dell’altro che si compie unicamente con un atto esplicito e voluto, con l’ardore opprimente che fa dimenticare tutto del mondo esterno e conduce, sia pure un congedo momentaneo e breve, a una piccola morte. 

 Questo libro di Davoli – come ciascun libro di vera poesia – non fornisce risposte né tenta di proporre soluzioni, vie edificanti o più praticabili da prendere rifiutandone altre. Al contrario, cavalca l’enigma e l’inespresso, interloquisce con l’assoluto. È, dopo tutto, un libro di materia fatto di «parole scintillanti d’arsura, / di carne e sangue» (43). 

Lorenzo Spurio
Jesi, 25/01/2023

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