Giudizi critici a «Carne e sangue», Tabula fati 2022



Letta la raccolta tutta d'un fiato e l'impressione iniziale è che si tratti di una poesia intensamente vissuta, non solo in una dimensione creativa e spirituale, ma anche e forse soprattutto nella sua fisicità e corporeità, nel suo farsi appunto Carne e sangue: «Parole scintillanti d'arsura, / Di carne e di sangue» (p. 43); «il mio fantasma è un dramma / di carne e di sangue, / di lacrime e sudore»; «Il mio fantasma è un dramma / che mi imprigiona fra sbarre roventi / di carne e di sangue: i miei timori, me» (pp. 62 e 64); «ho amato tanto in vita mia! / Anima carne corpo» (p. 114).
Non mi è sfuggito - scusa il gioco di parole - il "corpo a corpo" con la lingua poetica, impreziosita non solo da termini letterari italiani (alma, sempiterno, balbo, aulente, burchio, asoli, estua, adusta, cinigie, ecc.) e da forestierismi (ruleta, medio corté, Pèsach, ecc.), ma anche da un uso accorto delle figure retoriche e fonetiche, il cui esempio più spinto è rappresentato dalla poesia "Come giostra che non gira in tondo", che si segnala per le allitterazioni aspre, come «tronchi travi e truculenti troni», le allitterazioni sonore, come «giunge gemendo e gira», una paronomasia di omografi («àncora ancóra») e infine le rime interne, come «era la mia incoscienza / la scienza pura».
Anche per questo, grazie ancora per la corroborante lettura e complimenti per il tuo bel libro.

Marco Ignazio de Santis

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Parto dalla foto della copertina dell'ultima silloge poetica di Vito Davoli. Vi troverete un piccolo canzoniere d'amore giocato sull'imperfezione o meglio sulla mobilità universale in cui nessun coccio trova la sua corrispondenza con un altro, come hanno già notato i lettori della raccolta. 
Aggiungo che la silloge, che merita una accorta e approfondita lettura, tutta giocata su guizzi e "bagliori dell'eterno", si svolge su una impervia quanto sollecitante linea di confine su cui scorre l'arco della fragilità, in un anarchico comporsi/scomporsi del linguaggio, nel quale si alternano slanci verticali e cadute da capogiro, immagini di un ingordo amore per la vita e di tormentate solitudini.

Ettore Catalano

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Ho letto Carne e sangue, trovandolo molto bello, per la cura della lingua e l'intensità con cui ha cercato di scrivere poesia lirico-sentimentale senza cadere nel patetico. Non è un obiettivo facile da raggiungere, quindi i suoi risultati sono, dal mio punto di vista, molto lusinghieri. Solo in qualche caso mi pare che sia caduto nell'errore opposto, che è quello di un certo manierismo ([...]è il caso di Estensione, a pp. 110-111). Ma più numerose sono le liriche che mi sono piaciute sin dalla prima lettura: mi fa piacere segnalare Come giostra che non gira in tondo (molto importante lo sforzo stilistico sulle allitterazioni che determinano il ritmo; è la mia poesia preferita), Rivoglio, Devo proprio, Pesach, Adamo mio, Vlora, Compagni, In te e Come sindone.

Daniele Maria Pegorari

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Quando leggo poesia - la lettura è lenta - capita che scattino associazioni impreviste. All'inizio, ad esempio, di Attraversammo le porte del sogno di Daniele Giancane mi figuravo l'Arca di Noé e, per ulteriore associazione, Gilgamesh. Conclusa la lettura, mi vennero in mente Le rovine circolari di Borges.
Leggendo Carne e sangue, fin dalle prime pagine gli occhi richiamano dalla memoria una litografia di Escher in cui lucertole in circolo sul bordo del foglio, entrano ed escono, in parte sopra in parte sotto, si affermano e si negano e si trasformano. Proprio come «sopra una linea di confine / rientro ed evado» e «cielo e mare evadono e rientrano».
Senza dire che la realtà può essere anche intercambiabile, e illusoria, e Penelope può snodare il filo, Arianna tessere la tela. Perfino la parola "Amore" può diventare altro se la si pensa con l'alfa privativo. E una giostra può girare «ma non in tondo» e una goccia sarà «lacrime, pioggia o ambrosia». Anche «le chiavi tintinnano / senza provare alcuna serratura».
Allora «Cos'è reale?», si chiede l'autore al primo verso de Le foglie. Lo chiarisce perfettamente Daniele Giancane nell'introduzione. Non serve ripetere.
In altro ambito può richiamare la società liquida di Bahumann? O può snodarsi come una Pesach continua, una serie di passaggi in passaggi senza approdi? E come si pone il poeta a fronte di una realtà così concepita? Anche qui è Giancane a fare testo: la tensione verso il superamento, il volersi "perdere" elidendo perfino l'identità. Difficile? Possibile? In situazioni? Come tensione ideale? Come «strana eutanasia» perché «è infinito l'amplesso / dell'orizzonte e del tempo»? Perché si vorrebbe rinnegare perfino l'arte? Come fosse devianza costringente, o scavo "nel terriccio", «ma l'arte è un senso oscuro / che quando è dentro trova / artistica ogni cosa», e «oltre per noi non c'è più nulla / solo il ricordo e forse la poesia». Non credo ci si possa liberare.
A me sembra di scorgere in Davoli uno spirito anarchico. C'è insofferenza - e sofferenza - una tensione acuta, ansia di liberazione, di abbattere «intorno i fortilizi». Talvolta si accostano termini, cioè pensieri, immagini, che cozzano aspramente tra loro, una voglia ossimorica che spiega la complessità e l'ambivalenza irrequieta, anche in amore, in cui sembra prevalere il prima e il dopo piuttosto che il 'durante' dell'incontro.
Ma dove la sofferenza si fa spregio e rabbia, nella poesia Su tristi ceri, non c'è pietà. E mi chiedo se la citazione liturgica aghios e theos, sanctus deus, "Dio Santo" etc., che si canta nella celebrazione del Venerdì Santo, proprio il giorno della passione, della crocefissione, sia una scelta casuale o piuttosto l'aggiunta di sale e aceto sulla punta del pugnale.
Non è l'unico riferimento al negativo a formule liturgiche, quasi che la religione sia una delle forme "Matrix" più rischiose.
Ma non mancano momenti di relax in cui anche il linguaggio si fa più disteso, addirittura tenero, come ad esempio (ma non solo) in Adamo mio. Eva è un'eroina positiva, universale, che rigetta consapevolmente il tedio dell'Eden e il fascino fatuo dell'onnipotenza per scegliere il cammino della conoscenza come dato costitutivo dell'umanità.
Ma l'interesse, e la seduzione, che la poesia di Davoli esercita è anche linguaggio, costruito e domato con la varietà di timbri e registri di un blocco comunque unitario, ritmo e metrica, frequenza dell'endecasillabo anche ipermetro e le sue combinazioni, insomma «il ritmo del mio dattilo», la rarità di rime, metafore originali e spiazzanti e quant'altro.
Tutta una partita che andrebbe analizzata. Perciò, come conclude lo stesso Davoli il suo intervento in Sulla poesia: «so, con questo, di non aver detto assolutamente nulla».

Mauro De Pasquale

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Ho dato una prima scorsa veloce ai testi di Carne e sangue e ho subito respirato poesia, abbagliato da tanta bellezza, dalla forte padronanza della lingua e dallo scavo interiore che emerge dalle liriche.
Leggerò ancora una volta a distanza di una settimana e poi per la terza volta, sì da poter esprimere con le parole le emozioni che mi ha suscitato.

Benito D'Agnano

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Sto leggendo Carne e sangue, di Vito Davoli, m’imbatto in una poesia dal titolo Come giostra che non gira in tondo, in cui arguisco trattarsi di una poesia sul tempo, definito distruttore di tutte le cose, ma subito il messaggio, o il senso, della poesia passa in secondo piano, perché l’orecchio viene catturato dalla tessitura musicale, e ho la sensazione di essere in ascolto di un’opera bandistica, riconosco le note roboanti dei fiati e le percussioni dei tamburi, persino certi stridii che solo la banda sa concedersi, come: “nelle longeve lande di quest’alma”, (altri arcaismi e altre parole desuete ho incontrato nella lettura di questo libro, che immagino obbediscano  a un intento d’ironia se non addirittura di parodia). 
Allora mi dico: questo ragazzo  (Vito non è esattamente un ragazzo, però riconosco nella sua poesia la scintilla della gioventù), questo ragazzo, dicevo, conosce non solo la grammatica e la sintassi della poesia, ma anche la fisica e la chimica, l’algebra e l’aritmetica, se sa distillare saggiamente le parole fino a formare un interessante tessuto sonoro, musicale, capace di far passare in secondo piano l’argomento tempo, ed evidenzia quanto sia essenziale l’abilità di accoppiare le parole, disporle secondo un criterio estetico che fa della poesia una collana scintillante.

Paolo Polvani

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Tante eccellenti revisioni per un libro che ci ha sorpreso per le tante liriche bellissime e profonde. Vito Davoli ci propone non il solito testo amorfo ma Carne e Sangue sul serio. Di questa umanità!

Mariagrazia Barretta

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(...) un libro che a leggerlo viene a mancare il respiro per l’emozione, per una così vasta visione di tutto ciò che è reale e surreale, Ci sono aperture inimmaginabili e convincenti, una poetica che trovo fuori dal comune, oltre che nei contenuti soprattutto nell’impostazioni degli stessi contenuti. 

Francesco Paolo Dellaquila

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Vito Davoli è un poeta, più che un amico.
James Hillman sosteneva che la nostra mente non è fatta di fondamenti fisici, linguistici, ideologici, psicologici ma "poetici".
Carne e sangue è, pertanto, la costruzione mitica e poetica della mente di Vito Davoli, il suo cibo quotidiano per una comunità di lettori poeticamente recettivi e all'avanguardia, con un'anima che crede nella tradizione quanto nella rivoluzione; un itinerario poetico che 'fa male' e che 'fa bene', una lancia nel costato per chi affronta l'esistenza con se stesso come una lotta tra sentimenti forti e irrinunciabili,  sempre ad un passo dallo scandalo ma con la leggerezza di un gabbiano.
Lo consiglio vivamente a chi ha occhi per leggere il destino... nella carne e nel sangue!

Silvia De Luca

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Grazie di cuore a Vito Davoli che ci ha permesso di avere l’onore di maneggiare un’opera con una così grande forza espressiva. Devo dire personalmente che da tanto tempo non avevo il gusto di godere di una scrittura così intensa e piacevole.

Emanuele Tagliaferri

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